Lunedi, mentre a Prato si discuteva dei problemi del distretto a Bruxelles veniva presentato "The future of European competitiveness", il rapporto commissionato dalla Commissione Europea a Mario Draghi. Il legame tra le due cose non sta però nella coincidenza delle date, quanto piuttosto nelle problematiche, su cui cercherò di riflettere molto sinteticamente.
Le condizioni che hanno garantito la prosperità in Europa: energia a costi contenuti, crescita del commercio mondiale, sicurezza garantita dagli Usa non ci sono più e senza un cambiamento di prospettiva i paesi della UE sono destinati al declino. Questi elementi degli ultimi anni hanno portato alla crisi della Germania, il paese UE più dipendente dal gas russo e dalla crescita cinese, ma pesano anche su tutti gli altri paesi, Italia in particolare (e l’industria pratese), fortemente interconnessa con l’economia tedesca. La guerra in Ucraina (e poi in Israele) e quella commerciale costituiscono forti tensioni geopolitiche, aggravate dal cambiamento tecnologico e dalle sfide della transizione energetica che si sono sommate a problemi decennali: il minor livello di innovazione rispetto a Usa e Cina, la bassa produttività delle imprese e dei sistemi nazionali (su cui grava l’eccesso di burocrazia nazionale ed europea).
Le proposte di Draghi per uscire da questa situazione sono numerose e puntuali e si basano su una strategia per recuperare il ritardo e rilanciare la competitività e sulle modalità per attuarla. I nodi politici che emergono sono numerosi. Draghi propone un "doppio" piano Marshall per finanziare gli interventi necessari: il 4,4-4,7% del Pil Ue dovrebbe essere destinato a investimenti (pubblici e privati) mirati e strategici, 750-800 miliardi annui, per recuperare il basso livello degli ultimi venti anni. La sfida è enorme. Si tratta di sollecitare e incanalare gli investimenti privati, da un lato, e dall’altro grandi investimenti pubblici con fondi ricavati dal debito pubblico comune, sull’esperienza del Next Generation EU, ma maggiormente finalizzati e concentrati. Inutile dire che in questo quadro, difficile e complesso, l’Italia si trova in condizioni peggiori. Nell’ultimo ventennio il nostro paese ha registrato livelli di innovazione e di produttività minori, investimenti calanti e redditi in diminuzione.
L’unica crescita si è registrata nel debito pubblico e nel peggioramento della qualità e precarietà del lavoro. La risposta alla caduta di competitività è stata cercata soprattutto nella riduzione dei costi di lavoro e di capitale. Il nodo politico che pone Draghi sta nel postulare che la dimensione della sfida è affrontabile esclusivamente a livello europeo. Questo significa procedere sulla via di una più ampia e forte integrazione: politiche gestite e coordinate, mercato unico dei capitali, fiscalità omogenea, riforma e semplificazione dell’UE (non più unanimità e minore burocrazia). L’esatto contrario da quanto auspicato dalla rampante destra europea, ma poco digeribile anche dai vari egoismi nazionali e da chi cerca facili consensi. Ci sono alcuni passaggi per noi particolarmente interessanti nel rapporto: politiche specifiche per settori (in primis energia e materie prime), interventi sulla concorrenza internazionale (non rifiutata ma differenziata e soprattutto non sleale), le previsioni di un autunno demografico, la necessità di riprodurre condizioni sociali positive e il welfare, manodopera qualificata e buone retribuzioni, anche perché a lavoratori malpagati e precari corrispondono livelli di bassa qualità e produttività.
I macro fattori negativi hanno aggravato i problemi interni al sistema produttivo pratese, ridotto il livello di profitti e investimenti, tariffe e salari, la diffusione delle innovazioni, con la conseguente chiusura di migliaia di imprese e, negli ultimi anni, ulteriormente segnate dalla pandemia e dalla guerra, dagli aumenti dei costi delle materie prime e dell’energia, l’inflazione e il contenimento dei consumi.
L’incertezza domina il quadro mondiale, nei suoi equilibri politici ed economici, ma se non si interviene il declino è già segnato. L’economia pratese sta dentro a questo coacervo di questioni, da cui occorre difenderla e sostenerla con tutti gli strumenti disponibili, ma è necessario anche porsi il problema del suo futuro, che coincide con quello dell’intero paese.
E’ indispensabile un’iniziativa politico-istituzionale che sostenga la strategia di sviluppo delineata nel rapporto Draghi, mobilitando le istituzioni, le associazioni economiche e i sindacati, parlamentari, ministri e commissari mettendo in campo anche iniziative lobbistiche a Bruxelles. Non è una novità per i pratesi, lo abbiamo fatto per la difesa del "made in Italy", anche se con scarso successo, ma non ci dobbiamo arrendere perché la posta in gioco oggi è il futuro.
*ex sindaco di Prato