L’eccidio della Fortezza. Taiti: "Per i 29 martiri di Figline un’epopea. Per quei morti il silenzio"

Strage Castello: l’avvocato nel 2011 organizzò il primo e unico convegno "Una rimozione lunga 80 anni, una vergogna che va affrontata. Certo sfilare con le bandiere della pace a Figline è più semplice".

L’eccidio della Fortezza. Taiti: "Per i 29 martiri  di Figline un’epopea. Per quei morti il silenzio"

Strage Castello: l’avvocato nel 2011 organizzò il primo e unico convegno "Una rimozione lunga 80 anni, una vergogna che va affrontata. Certo sfilare con le bandiere della pace a Figline è più semplice".

di Anna Beltrame

PRATO

I fatti della Fortezza. E’ il titolo del convegno che Massimo Taiti organizzò in Comune il 9 settembre 2011, da presidente della circoscrizione centro. Fu la prima volta che di quell’eccidio si parlò in un’occasione pubblica con storici di diverse estrazioni politiche (Salvagnini, Desideri, Gregori, Giaconi) e con gli ultimi testimoni ancora in vita (Tonfoni e Bettarini). Il salone consiliare era gremito: fu una giornata importante per la città.

Taiti, perché organizzò il convegno?

"Avevo sentito parlare dell’eccidio della Fortezza da quando ero bambino: me lo raccontava mio padre, anche lui sempre con contorni oscuri, senza dirmi neppure quale fosse la sua verità. Ma quando si incrociava Tantana in piazza Duomo mi diceva sempre: abbassa gli occhi, non guardarlo, questo è un assassino che si spacciava da partigiano. Il babbo era antifascista. Il cugino di mia mamma, Giannino Andrei, venne fucilato dai nazisti davanti al cimitero della Misericordia. Fu tra i dieci pratesi giustiziati dopo che una ragazza uccise un tedesco che tentava di violentarla in piazza Sant’Agostino".

Anche lei antifascista.

"Antifascista militante, quando si andava in piazza e si rischiava le botte. Venni anche processato per i fatti del 1971, quando con i movimenti studenteschi manifestai in San Francesco contro il comizio dell’ammiraglio Birindelli, poi eletto in Parlamento nel Msi. Fui assolto per insufficienza di prove da una sfilza di capi di imputazione: adunata sediziosa, disturbo di comizi elettorali, lesioni nei confronti di Sileno Desideri. Il federale del Msi, come lo chiamavamo".

Lo invitò al convegno.

"Certamente. Ci siamo abbracciati. La mia cultura politica è quella socialista, cerco di essere una persona libera. Con il convegno volevo dare voce per la prima volta a quelli che avevano perso. Ricordo che Sileno disse: è ormai accertato che dopo quel massacro le vittime hanno incontrato scarsa pietà persino tra i parenti che, impauriti, ammutoliti, si rifugiarono nel silenzio cercando di dimenticare. Sapevano in tanti e nessuno aveva il coraggio di parlare. Una città civile, a tanti decenni di distanza, deve fare i conti con tutto questo. Ammettere le atrocità, cercare per quanto possibile la verità".

Che forse non si saprà mai.

"Si sa che del gruppo dei giustizieri faceva parte Marcello Tofani, appunto Tantana, il cui fratello Ruggero, il 13 giugno ’44, era stato torturato e ucciso dai tedeschi a Catena di Quarrata. Ma chi era Tantana? Era un partigiano? Eseguiva ordini superiori? Agì per vendetta? Come vennero scelte le persone che furono uccise? Quante erano? Avevano colpe? Erano così gravi da meritare una morte tanto atroce? Il Pci e il Partito d’Azione sapevano quello che stava facendo Tantana? I componenti del Cln riuniti in Palazzo Comuale, a 150 metri dalla Fortezza, sentivano i colpi di pistola? Erano o no a conoscenza di quello che stava succedendo? Penso che ancora oggi la città abbia il diritto e la voglia di sapere perché tanti pratesi morirono in modo così ingiusto e cruento".

Per l’eccidio nessuna sentenza di condanna.

"Tantana l’ebbe per l’omicidio del fascista Guido Cecchini, che lui riteneva responsabile dell’uccisione del fratello. Nelle pagine di quel processo del 1949 non c’è nessuna traccia dell’eccidio del ‘44. Sempre da quelle carte processuali si evince che per minimo 16 mesi il Tantana venne rinchiuso nel manicomio giudiziario di Reggio Emilia, dove fu sottoposto all’elettroshock: probabilmente soffriva di problemi di salute mentale. Di certo alla Fortezza non era solo".

Un personaggio borderline, un capro espiatorio...

"Proprio così. Sull’eccidio è stato messo un silenziatore durato 80 anni. Fu però una mattanza. Lo dico da antifascista certificato: quei morti hanno la stessa dignità dei ragazzi di Figline. I 29 martiri sono morti di serie A, quelli della Fortezza nemmeno di serie B".

Perché secondo lei è ancora così dopo 80 anni?

"Forse perché la città se ne vergogna? Perché anche la sinistra se ne vergogna? Ma questa è storia della città. Episodi tanto tragici succedono a margine delle guerre civili, ma questa vergogna bisogna affrontarla. Certo sfilare con le bandiere della pace a Figline e cantare Bella Ciao è più semplice. Figuriamoci se non è sacrosanto ricordare quei ragazzi trucidati, ma dei martiri di Figline si è fatta un’epopea, che oggi magari serve anche compattare la sinistra. E pure sui 29 martiri piena luce non è mai stata fatta...".

Racconti.

"Potrebbero essere stati traditi da una soffiata fatta ai tedeschi da un partigiano. Me lo disse il Nocchi, il proprietario della villa in cui i ragazzi trascorsero l’ultima notte. Lo dicevano in tanti: i tedeschi li stavano aspettando, sapevano. I testimoni di quegli anni sono tutti morti. Non si saprà mai la verità".

Così come per la Fortezza.

"Da avvocato cito l’illustre collega Franco Coppi: non esiste il delitto perfetto, ma esistono le indagini imperfette".

Il libro che fece pubblicare con gli atti del convegno del 2011?

"In Comune c’erano 1.500 copie. Sono sparite. E non credo proprio per essere lette".