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Direzione artistica MetJazz. Zenni lascia dopo 27 anni: "Un’esperienza bellissima"

Il musicologo: "Decisione presa da tempo. Ringrazio il personale del Metastasio il pubblico e la città. Quando sono arrivato, Prato aveva un’energia speciale ora è diverso. Organizzare il festival è stata una delle fortune della mia vita" .

Stafano Zenni al Metastasio Foto Ilaria Costanzo. . Nella foto piccola Cecil Taylor

Stafano Zenni al Metastasio Foto Ilaria Costanzo. . Nella foto piccola Cecil Taylor

Dopo 27 anni, Stefano Zenni lascia la direzione artistica di MetJazz, tra i festival più prestigiosi in Italia, che proprio quest’anno ha festeggiato il trentennale.

Zenni, perché questa scelta? "E’ una decisione maturata da tempo per naturale conclusione di un lungo ciclo. Prima ancora di iniziare a progettare l’edizione del trentennale sapevo che sarebbe stata l’ultima. Non vivo più a Prato, mi sono trasferito a Bologna, dove insegno storia del jazz al conservatorio".

Che bilancio fa di questi anni? "E’ stata un’esperienza incomparabile: la direzione artistica come atto creativo di politica culturale, tra produzioni originali, giovani talenti e grandi maestri, sempre tenendo dritta la barra della qualità".

Chi vuole ringraziare? "Il Metastasio: è grazie alle persone che lavorano in teatro, alla loro professionalità e al sostegno delle dirigenze, che il festival ha raggiunto il riconoscimento di cui gode in Italia da tempo. Ma il ringraziamento maggiore va al pubblico, la cui passione e fedeltà negli anni ha consentito al festival di superare i momenti più difficili ed è ancora oggi il garante della sua esistenza".

Cosa ricorda con più gioia? "Ho tanti ricordi molto belli. In generale la felicità delle persone al termine di un concerto, ma anche il leggere una reazione negli sguardi di chi magari non lo aveva del tutto apprezzato. La cultura, la musica, hanno il potere di smuovere le cose, per questo sono necessarie".

Un concerto in particolare? "Cecil Taylor, febbraio 2004. Suonò con Tony Oxley e fu una serata straordinaria per me".

Perché? "Ero al liceo quando mio zio mi regalò il primo disco di Cecil Taylor. Una folgorazione. Pensai: un giorno lo organizzerò io un concerto di Taylor. Ecco, era un sogno che si realizzava".

Com’è arrivato qui da Chieti? "Mi chiamò Andrea Melani, a cui sono grato, per tenere delle conferenze. In una di queste conobbi quella sarebbe diventata mia moglie. Venni a vivere a Prato e di MetJazz diventai direttore quasi per caso, con tante idee, ma nessuna pratica. Sono contento di quello che abbiamo costruito in tutti questi anni".

E Prato? "Le sono davvero grato. Quando arrivai a fine anni ’90, mi colpì quella speciale energia che aveva, sia sul piano imprenditoriale che culturale. Era un’energia che percepivi, che ascoltavi. Mi piaceva la sua dimensione provinciale, nel senso migliore: nonostante il numero di abitanti, era bello camminare per il centro e incrociare le persone, la facilità di questi incontri, i rapporti umani".

Gli incontri da ricordare? "Tanti colleghi di altissimo profilo professionale, da Musicus Concentus, alla Scuola Verdi, Paolo Ponzecchi in primis. Da appassionato di cinema il Mabuse. E l’esperienza coraggiosa di Mesotonica, un progetto musicale di grande valore, purtroppo finito: gli affitti troppo alti chiesti per quel fondo in via Muzzi e nessuno che li ha aiuati".

C’è qualcosa per cui Prato l’ha delusa? "Il non aver avuto la capacità di reagire alla crisi, pur avendone i mezzi. E’ come se avesse dormito sugli allori, per comodità, per la possibilità in tanti casi vivere di rendita".

Cosa le mancherà? "Il lungo Bisenzio. Le mille passeggiate sulle ciclabili, il fiume, la natura, i colori delle stagioni, la sensazione di non essere in città a due passi da casa".

Chi prenderà il suo posto? "Non lo so. Al mio successore, chiunque sarà, vanno i miei auguri più calorosi: organizzare MetJazz è una fortuna della vita".

Anna Beltrame