
Prato, 15 novembre 2023 - “Alleno quella che di fatto è l'U23, la seconda squadra. I giocatori non si dividono in base all'età, ma in base alle qualità tecniche: c'è chi è “bono” e chi è “poho bono”. Punto”. Alessandro Diamanti ha così illustrato, con una battuta in vernacolo pratese, il ruolo che il Melbourne City gli ha affidato pochi mesi fa. Lo ha fatto nel corso della nuova trasmissione di un altro ex-Nazionale di origini pratesi, ovvero quel Christian “Bobo” Vieri che ha da poco lanciato su Twitch (e non solo) il “Bobo Vieri Talk Show”. Il quarantenne cresciuto nel Prato è intervenuto in veste di ospite, collegandosi dall'Australia. E nel corso della chiacchierata, fra battute di spirito e aneddoti, ha ripercorso alcune delle tappe salienti della sua carriera. Iniziando dall'esperienza in Cina, nel 2014. “Al Guangzhou Evergrande mi chiamò Marcello Lippi. “Tranquillo, ti faccio riposare”, mi disse per convincermi. Risultato? Giocai tutte le partite, a volte anche con 40 gradi e con il 100% di umidità – ha ricordato il diretto interessato, con una risata – vincevamo perché dopo un'ora gli avversari “scoppiavano”. Io stesso ogni tanto mi confinavo sulla fascia per sette o otto minuti, estraniandomi dal gioco: era necessario per rifiatare. Esperienza dura, ma bella”. Ad oltre sei mesi dal suo ritiro dal calcio giocato, Diamanti ha poi spiegato le ragioni che lo hanno spinto a dire basta. “Ho smesso perché mi ero accorto di non avere più nulla di nuovo da imparare, come calciatore – ha aggiunto – come allenatore, invece, apprendo cose nuove ogni giorno. Voglio restare in Australia perché mi piace la filosofia del City: vedo disciplina, educazione e rispetto anche da parte dei giovani che alleno. E il mio compito è quello di aiutarli a raggiungere il loro sogno”. Anche se, forse per spronare il suo gruppo, non ha risparmiato una “stoccata” al calcio moderno. “Anche in Australia ci sono giovani di talento, ma se chiami un ragazzo di 18 anni e gli chiedi a bruciapelo quale sia il suo sogno, spesso non sa che rispondere – ha raccontato Alino ad un divertito Bobo Vieri – per noi era diverso soprattutto a livello mentale: ci credevamo davvero, volevamo fare del calcio la nostra professione e facevamo di tutto per riuscirci. Oggi non si capisce se i ragazzi vogliono diventare calciatori perché ne sono davvero convinti o perché sono affascinati dall'idea di diventarlo”.
G.F.