
Un carcere
Prato, 4 dicembre 2015 - "Fermare il collega che ti sta dando le botte? No, io vengo e te ne do altre". La conversazione, che il detenuto marocchino Rachid Assarag sostiene di aver registrato il 29 novembre 2013 nel carcere di Prato, fa venire i brividi e sarebbe avvenuta tra lo stesso Assarag e un brigadiere di polizia penitenziaria. Assarag, 40 anni, sta scontando una pena di 9 anni e 4 mesi nelle carceri italiane per violenza sessuale. Attualmente si trova nel carcere di Lucca, ma ha girato moltissimi istituti, con tanti trasferimenti, denunciando ripetutamente di aver subito violenze e abusi dal personale di custodia. "E' una storia di violenza carceraria che purtroppo temiamo sia un'ordinaria storia di violenza". Così, il senatore Luigi Manconi, presidente della commissione Diritti umani del Senato commenta la vicenda di Assarag, durante la conferenza stampa organizzata dall'associazione "A buon diritto", insieme all'avvocato Fabio Anselmo (difensore del marocchino) per "denunciare le preoccupanti condizioni di salute" del detenuto.
Ecco l'audio proposto da Radio Radicale
Nella conversazione che è stata fatta ascoltare nella conferenza stampa, poi trasmessa da Radio Radicale, il marocchino si lamenta per le botte ricevute, ma non trova solidarietà ("siccome te le sta dando lui non serve che te le do pure io, basta uno che te le dà"), tanto che il suo interlocutore gli risponde che le botte in certi casi servono e che, comunque, il sistema carcerario fa sì che "il detenuto entra nel carcere ed esce più delinquente di prima" e poi aggiunge che "se la Costituzione fosse applicata alla lettera, questo carcere sarebbe già chiuso da 20 anni, perché è fuori dalla legge". Assarag, a suo dire, avrebbe registrato conversazioni di questo tipo anche in altre carceri.
Ovviamente, la vicenda deve essere verificata attentamente e, informalmente, da ambienti carcerari si manifesta un certo scetticismo sulla possibilità che un detenuto possa tenere e utilizzare un registratore. "Non so come possa essere possibile che un detenuto che sta scontando una pena a 9 anni e 4 mesi di reclusione per violenza sessuale possa, durante la sua permanenza in cella in vari carceri del Paese, tenere con sé un registratore con cui memorizzare frasi riferite, a suo dire, a persone non accertate e non identificate ma, a dire suo e del legale, appartenenti all'amministrazione penitenziaria", ribadisce Donato Capece, segretario generale del Sappe, il sindacato autonomo polizia penitenziaria.
Da parte sua, Angelo Urso, segretario di Uilpa Penitenziari chiede che "Il Dap e la magistratura facciano con urgenza chiarezza sull'autenticità e la paternità delle frasi registrate e perseguano i responsabili, sia che si tratti di appartenenti alla Polizia penitenziaria, sia nell'ipotesi in cui si trattasse invece di un clamoroso falso". Urso aggiunge che "se le registrazioni fossero autentiche sarebbero gravissime. Ma dopo tanti anni di carcere e da conoscitore dei miei colleghi - prosegue - esprimo qualche dubbio sull'autenticità della registrazione: mi sembra strana tanta calma in un momento di concitazione come può essere un' 'aggressione', non si sentono rumori di sottofondo e nulla fa pensare ad una colluttazione in corso o appena avvenuta".
L'avvocato Anselmo, però, rilancia: "Quello raccontato nelle registrazioni è lo spaccato di vita carceraria vissuto da Rachid. I fatti sono gravissimi. In alcuni casi di parla anche delle morti dei detenuti. E per quello che ho sentito provo molta amarezza. Rachid sa di aver sbagliato, lo ripete sempre. Dice: 'Io ho sbagliato. Ho fatto errori gravi'. Ma il carcere non mi può infliggere ulteriori punizioni - continua il legale - sono preoccupato per salute di Rachid che ora si trova sulla sedie a rotelle per via dello sciopero della fame che ha iniziato per protestare contro i maltrattamenti subiti in questi anni. Senza contare che non è mai riuscito ad identificare i suoi aggressori. Le registrazioni sono già state ammesse da due giudici a Firenze e a Parma- continua l'avvocato -. In più nei prossimi giorni depositeremo quelle del carcere di Sollicciano, Firenze".