Leonardo Biagiotti
Cronaca

Vino toscano e gusto americano: parla l'esperta di Wine Enthusiast

Dal Chianti Classico al Carmignano, ecco come ci vedono (e bevono) Oltreoceano

Kerin O'Keefe

Prato, 15 settembre 20156 - In Cina il vino italiano e pratese va forte. E dall’altra parte del mondo? Gli americani sono sempre innamorati del Made in Tuscany? Basta leggere le risposte di Kerin O’Keefe, italian editor di Wine Enthusiast, una delle riviste più influenti del settore, per scoprire che è ancora così. Non solo, se si accenna al Carmignano il giudizio si alza...

La Toscana e l’America sono unite dalla passione per il sangiovese di casa nostra: perché gli americani amano così tanto il vino toscano?

«Ci sono dei legami storici fra Usa e Italia, in gran parte dovuti ai tanti immigrati che sono andati in America nella prima parte del 20esimo secolo. Ma se i consumatori americani hanno goduto il vino spesso fuori dal pasto, quasi come un cocktail, oggi sempre più americani lo bevono a tavola. Questo coincide anche con il forte - e recente - interesse che gli americani hanno trovato nel cucinare. E il vino italiano, rispetto ai vini americani e da altri paesi, in genere si sposa perfettamente con i piatti grazie alla sua freschezza. Il sangiovese in particolare, con la sua acidità naturale e i sapori di ciliegia e lampone freschi, si abbina facilmente con quasi tutto: un Chianti giovane si può abbinare con la pasta ma anche con merluzzo in umido con pomodoro, mentre un Brunello di Montalcino strutturato si può abbinare con una bistecca. E poi c’è il fascino che ha tutto il mondo per la Toscana».

Che cosa cercano maggiormente gli americani in un vino italiano? E in uno toscano?

«Vogliono un vino elegante, fresco, che si beve facilmente. Se è fatto con i vitigni indigeni, come un Greco, Fiano, Falanghina, Dolcetto, Nebbiolo, Arneis, Sangiovese, vogliono trovare delle sensazioni uniche, tipiche del vitigno. Con i vini importanti come Barolo, Barbaresco oppure Brunello, Chianti Classico, un Vino Nobile o un Taurasi, i consumatori vogliono sempre l’eleganza, ma anche struttura e complessità. E un vino che evolve per diversi anni».

Come sono cambiati i gusti degli americani per il vino?

«Secondo me non c’è stato mai un vero e proprio ‘palato americano’. Tutti i consumatori americani desideravano i vini opachi, eccessivamente concentrati, legnosi e molto alcolici. Ma è assolutamente vero che per almeno due decadi, più o meno dal 1990 fino al 2010, la maggioranza dei critici americani - ma anche gli inglesi e diverse guide italiane - hanno dato i massimi voti a quella tipologia mentre hanno ignorato - o addirittura bastonato - i vini eleganti. Sono stata come la voce nel deserto quando ho pubblicato i miei primi articoli nel 2002, sulle pubblicazioni americane, dei vini favolosi di Franco Biondi Santi, Bartolo Mascarello e Giuseppe Mascarello - solo per citare qualche esempio - e quando ho criticato i vini che erano di moda, quelli dominati dal legno e che non avevano molta acidità ma troppo alcool e che hanno espresso più la mano dell’enologo anzichè il proprio vitigno o territorio. Ho subito ricevuto molto interesse e tanto feed-back positivo dai lettori, che erano interessati a scoprire questi vini eleganti e unici al mondo. Poi, gradualmente, i tempi sono cambiati: gli americani non vogliono più i vini italiani che sanno sopratutto di caffè, di tostatura, di legno, e che sono troppo estratti e densi. Insomma, non vogliono i vini italiani anonimi che si possono scambiare per vini australiani o cileni. Oggi gli americani vogliono vini dotati di finezza, equilibrio e che rappresentano le caratteristiche del loro terroir e dove l’intervento umano non domina».

Che prezzo deve avere mediamente un vino italiano per avere successo negli Usa?

«Non credo ci sia un prezzo magico o uno che va bene per tutti i vini. Dipende molto del vino».

Qual è la zona vinicola toscana che secondo lei è cresciuta di più?

«Il Chianti Classico ha fatto un salto enorme in termini di qualità, e ora si vede che sta emergendo anche una sua identità - qualcosa che mancava fino a pochissimo tempo fa quando tanti produttori stavano usando troppo merlot e cabernet, e stavano abusando delle barriques nuove. Ora c’è un nuovo rispetto per il Sangiovese, grazie alla ricerca clonale e alla miglior gestione delle vigne, e perchè i produttori stanno usando più botti grandi e meno barriques nuove. E’ un gran vino che offre un rapporto fantastico fra qualità e prezzo. Credo che ora i produttori debbano puntare sulla zonazione della denominazione, anche a livello comunale, per portare il Chianti Classico a livelli anocra piùà alti».

Cosa ne pensa del Carmignano?

«E’ un vino molto interessante: qui, oltre al sangiovese e alle altre uve Toscane, il cabernet sauvignon è stato coltivato sin dal sedicesimo secolo. Mentre il cabernet è diventato di moda nelle altre parti della Toscana verso gli anni ’90, insieme al merlot e al cabernet franc, nelle colline di Carmignano, il cabernet ha avuto secoli per adattarsi all’habitat locale, diventando ormai praticamente un vitigno indigeno per la zona. Questo fa sì che il blend di sangiovese e cabernet a Carmignano sia molto armonico: i vini sono strutturati ma eleganti e longevi». - I vini americani sono poco diffusi in Italia e Toscana: è perché i vini italiani sono migliori o si tratta di scarsa pubblicità? «I motivi sono diversi. Il primo è perché l’Italia è uno dei leader nel mondo dal punto di vista del volume, quindi gli italiani hanno già una scelta vasta dei vini nazionali a prezzi molto competitivi. Detto questo, dobbiamo ricordare che il consumo pro-capite del vino in Italia è in calo da anni, quindi non credo che le aziende americane vogliano fare tanti investimenti sul mercato italiano che è già fornito di buoni vini che hanno anche un buon rapporto qualità-prezzo».