Pelli in “nero“ e fatture false Sei arresti e 17 indagati Sequestri per 740mila euro

Tre le ordinanze di custodia cautelare in carcere e tre gli arresti domiciliari. Ben 13 le società coinvolte dall’operazione condotta dalla guardia di finanza.

di Carlo Baroni

COMPRENSORIO

Ancora arresti e sequestri nel Comprensorio del Cuoio – sotto pressione già per altre inchieste, due già in fase processuale – che resta sotto la lente, in particolare, per i reati di natura tributaria. Al centro, anche stavolta, un giro di false fatture, pelli vendute in nero tra documenti di trasporto fittizi e autotrasportatori compiacenti. Un sistema scoperto da un imponente e capillare lavoro della guardia di finanza di Pisa con il nucleo di polizia economico-finanziaria.

E non a caso è stata battezzata "Vorrei la pelle in nero" l’operazione che ha portato – dopo un anno di indagini tra intercettazioni e appostamenti – all’esecuzione di 6 misure di custodia cautelare agli arresti, metà in carcere e metà ai domiciliari, per reati di natura tributaria, tra cui l’emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Sono finiti in carcere due campani, uno domiciliato a Santa Croce e uno a Montecatini, e un imprenditore siriano di Solofra. La misura dei domiciliari è stata applicata a due imprnditori, uno di Santa Croce e uno di San Miniato, e ad un siriano di Solofra. Eseguite anche due misure dell’obbligo di dimora (una carico di un imprenditore di Santa Croce, e una a carico di un soggetto siriano residente a Solofra) e 14 sequestri preventivi per un importo complessivo di oltre 740mila euro. In totale sono 17 le persone indagate, a vario titolo, e 13 le società coinvolte nella presunta frode, operanti nel settore della produzione e commercio all’ingrosso di cuoio e di pelli, localizzate per lo più nel comprensorio, ma anche in Campania, Marche e Veneto. Le indagini avrebbero portato alla scoperta di "un sistema di società - spiegano una nota - che effettuavano sia operazioni commerciali di merce reale, tendenzialmente ‘a nerò, sia operazioni cartolari, supportate da fatture oggettivamente inesistenti e fittizi documenti di trasporto, emessi nei confronti dei clienti richiedenti e movimentati anche grazie al coinvolgimento di compiacenti autotrasportatori". Le forniture fittizie erano pagate con bonifico o con emissione di ricevute bancarie a cui seguiva la puntuale retrocessione in denaro contante delle somme pagate dal cliente, al netto di una ‘provvigionè "costituente l’illecito profitto trattenuto dal soggetto emettitore, di importo variabile tra il 3% e il 10% dell’imponibile della fattura". Il denaro contante per tali restituzioni veniva reperito – è emerso - dai proventi delle vendite a nero r dalla complicità di una famiglia di imprenditori di origini siriane e da soggetti compiacenti in Campania.

In questo modo i destinatari ultimi di tali documenti ottenevano illeciti vantaggi, tra cui un’indebita detrazione dell’Iva, la contabilizzazione di un costo a decremento del reddito d’impresa e una somma in contanti che, secondo le indagini, fraudolentemente sottratta alla società, veniva rimessa nelle mani dell’imprenditore e utilizzata per i fini più disparati.