SAVERIO BARGAGNA
Cronaca

Pallottole, fascisti e tasse: «Dove non poté la guerra riesce l’indifferenza»

Alimentari Lombardi chiude dopo 107 anni di storia

Gianfranco e Lucia Lombardi (foto Germogli)

Ponsacco, 10 novembre 2015 - I gerarchi fascisti mal tolleravano gli ubriachi. Così, durante il Ventennio, Amerigo e Mariina (sì, con due «i» non abbiamo sbagliato) erano soliti accompagnare chi aveva alzato troppo il gomito attraverso le vie più strette e buie del paese per evitare le ronde degli uomini di Mussolini. E’ questo uno dei tanti aneddoti di un negozio che ha 107 anni di vita. L’alimentari «Lombardi», in Corso Matteotti a Ponsacco, davanti alla chiesa, chiuderà i battenti il 31 dicembre. Un pezzo di storia se ne va.

Gianfranco e Lucia Lombardi – da 51 anni dietro il bancone – ci fanno mettere comodi poi aprono il cassetto dei ricordi. «Quando sistemammo il negozio di Mariina – dice Gianfranco – trovammo una pallottola conficcata nel muro dietro il bancone. Fu sparata, ferendo all’orecchio mia nonna, da un militare tedesco ubriaco». L’alimentari fu aperta nel 1908, leggiamo nel libro di Benozzo Gianetti ‘Botteghe e Bottegai di Ponsacco’, quando Mariina e Amerigo Lombardi iniziarono un’attività promiscua di vendita di alimentari, pollame e mescita di vino in una bottega ricavata a pianterreno davanti allo storico palazzo Corsini. Nel luogo di ritrovo gli avventori si soffermavano intorno ai pochi tavoli per consumare pane, salame e formaggi, bere un po’ di vino e fare una partita a carte nelle serate invernali.

«Lo sa che abbiamo due medaglie d’oro al lavoro? – aggiunge Gianfranco – Una è stata consegnata a mio padre nel 1958. L’altra ci è stata data nel 2000. Non abbiamo mai chiuso né durante la prima né durante la seconda guerra mondiale. Siamo sempre stati qui, a fianco di Ponsacco e dei suoi cittadini. Anche se il Comune, quando la nostra attività ha compiuto 100 anni, non ci ha degnato neppure di un pezzo di carta per farci i complimenti». «Ai vecchi tempi – aggiunge ancora Lucia – eravamo un punto di riferimento. La gente ci chiedeva consigli su come fare un dolce o i biscotti. E poi ci raccontava come era venuto buono. Adesso...».

Dove non ha potuto la guerra, possono i tempi che cambiano. «Mi ricordo di un Corso pieno di vita e di negozi. C’erano macellai e alimentari, negozi di vestiti. Eravamo 65 commercianti. Oggi non è rimasto più niente. In tanti ci dicono: ‘chiudete? Mi dispiace?’. Ma sono le stesse persone che, per mille motivi, in Corso mettono piede una volta l’anno e fanno la spesa nelle grandi catene che sono la vera ragione della nostra chiusura».

«Ogni anno – aggiunge – dobbiamo pagare mille euro di Geofor come fossimo un grande supermercato. E poi ci sono altre infinite spese. Non si può andare avanti così. Siamo costretti, con rammarico, a gettare la spugna». Con la storia se ne va anche un servizio: «Portiamo la spesa agli anziani e agli ammalati del paese gratuitamente. Purtroppo con i piccoli negozi se ne vanno anche i rapporti umani».