di Carlo Baroni
SAN MINIATO
C’è un alert carico di significati nelle parole del dottor Alessandro Crini, ospite del Lions Club di San Miniato – guidato dal presidente Marco Pucci – per parlare delle mafie e di nuovi scenari dopo la cattura dell’ultimo boss, alla luce della sua lunga esperienza di magistrato in prima linea proprio negli anni in cui Cosa Nostra dichiarò guerra allo Stato: "Quando se ne parla poco, come mi sembra stia accadendo in questo momento, le strutture criminali sono nel loro momento buono, possono fare affari e non litigano fra loro, perché quando lo fanno non discutono, risolvono il problema a fucilate: il silenzio in questo momento storico è un pessimo segnale".
Le mafie, appunto, fanno affari "attingendo all’enorme liquidità che arriva nelle loro mani dal narcotraffico, uno dei canali di approvvigionamento principali della criminalità – ha detto l’ex procuratore capo di Pisa e a lungo, prima di arrivare nella Città della Torre, alla procura distrettuale antimafia di Firenze – . Liquidità che poi finisce nelle terre di reimpiego, che noi sappiamo, ormai, essere sicuramente il nord Italia, ma anche la Toscana e l’ Emilia Romagna". Dove le organizzazioni hanno una presenza certamente più soft, meno evidente, ma sottile e penetrante, con conseguenti gravi rischi per l’economia legale come anche le inchieste degli ultimi anni hanno evidenziato. Da qui l’importanza di cogliere i segnali e saper leggere i campanelli d’allarme. Serve conoscerla, la mafia, saperne interpretare le mosse "il suo muoversi in maniera fortemente autoreferenziale, la costante ricerca di agganci e interlocutori al posto giusto, anche in politica", ha aggiunto Crini, che in carriera si è occupato anche dello sconvolgente attentato di via de’ Georgofili a Firenze del 1993: un’indagine che ha consentito agli inquirenti di conoscere molto di più della mafia, della sua struttura.
Fu in quegli anni che i pool di magistrati siciliani (impegnati nelle indagini di Capaci e di via D’Amelio) e quelli toscani studiarono a fondo Cosa Nostra, ne capirono le dinamiche sui territori di appartenenza, il conseguente bisogno di consenso laddove hanno le radici, e ne misero sotto la lente le ambizioni politiche: non a caso il sindaco di Palermo, Vito Ciancimino, si scoprì che era un uomo di Cosa Nostra. "E non a caso - ha detto Crini che, proprio per la strage di via deì Georgofili incontrò in carcere anche Totò Riina – quando passarono definitive le condanne del maxiprocesso uccisero barbaramente Salvo Lima, parlamentare andreottiano: fu la prima risposta al fatto che lo a Roma, come alla fine era sempre avvenuto, non fu trovata una soluzione a quelle condanne. Loro non erano abituati ad essere condannati, capirono che non c’erano i punti di riferimento che credevano di avere e scatenarono le bombe, risposero con il loro linguaggio. Loro, i mafiosi, non incontrarono Lima per avere chiarimenti, per chiedergli cosa si poteva ancora fare e come erano andate le cose lo ammazzarono come un animale".
La mafia è questo. Più semplice di quel che s’immagina, dentro e intorno a lei ci sono meno misteri di cui spesso di romanza troppo – e che hanno avuto spazio in tante narrazioni –, e che raramente hanno trovato riscontro in quelli che poi sono stati gli accertamenti sul campo. La mafia è affari, soldi e potere. Ieri e oggi. E ha bisogno di creare consorterie aprendosi varchi in quel mondo professionale a cui si rivolge per amministrare i flussi di denaro che non avrebbe le capacità di manovrare da sola. In sostanza quelli che tecnicamente vengono chiamati i concorrenti esterni. Quelli in "giacca e cravatta".
Ecco perché è fondamentale che non venga abolito il concorso esterno in associazione mafiosa: "Sarebbe imprudente cancellare un reato come questo – ha sottolineato l’ex procuratore di Pisa – . Un’ipotesi che non riesco a capire neanche in termini garantistici, perché sarebbe una ingiustificata concessione alle cosche". In sostanza salvaguarderebbe il loro modus operandi di penetrazione. Rapidissimo a capire come e dove si celano i nuovi business – nelle crisi si scatenano da sempre gli appetiti ignobili – per i adeguarsi a nuovi scenari socio-politici, vivendo sotto traccia. I boss non cercano i riflettori , la loro forza è l’invisibilità. In questo Bernardo Provenzano insegna. Anche il ruolo di Matteo Messina Denaro, catturato a fine carriera, è stato per certi versi enfatizzato. Forse per distogliere l’attenzione su chi può essere già da tempo al suo posto.