
Davide Costa e Simone Breschi
Cutigliano, 22 dicembre 2019 - «Ti accompagno. Non sono sicuro che i guadi sui torrenti abbiano retto". Quinta tappa, l’ultima. E terzo giorno consecutivo di sveglia con un messaggio che annuncia possibili guai legati al maltempo. Ma stavolta il bicchiere è mezzo pieno: non sarò da solo, mi accompagnerà Simone Breschi, uno dei ’padri’ del Cammino di San Bartolomeo. Ritrovo a Cutigliano, davanti alla stele del cammino. Il cielo è azzurro, sullo sfondo i monti dell’Abetone, innevati. Percorriamo il primo tratto lungo una strada acciottolata, il sentiero Albinelli.
"Di qui – mi spiega la mia guida personale – passò l’esercito di Napoleone. Scavando col metal detector si riescono ancora a trovare reperti dell’epoca". Si alternano prati e boschi, con un comune denominatore: l’acqua. Ruscelli, torrenti, cascate. Iniziano i guadi (benedette scarpe impermeabili!) e serve molta attenzione perché le pietre sono scivolosissime. "Sì, era anche per questo che non volevo tu affrontassi questo tratto da solo", confesserà più tardi l’angelo custode con lo zaino. Nemmeno un chilometro e il sentiero scavalca una gola in miniatura. Gli attraversamenti ’veri’ dei torrenti iniziano adesso: il primo è facilitato dalla presenza di tre tubi di metallo, che fanno da ponte. Molta cautela, un po’ di fifa e passiamo. Costeggiamo una casa abbandonata. Una casa in mezzo al bosco? "Certo – mi spiega Simone –: prima della costruzione delle strade queste erano le vie di comunicazione. Non era poi così sperduta come può sembrare adesso".
Scherza sempre e dispensa curiosità come noccioline. Ma col passare dei minuti è sempre più teso. "Che succede, Simone?". "Ci siamo quasi: il guado che temo sia crollato è a poche centinaia di metri". Ci arriviamo dopo due minuti e – miracolo – è intatto. Dei lunghi tronchi attraversati da rami più piccoli a fare da artigianali ’pioli’. Il passaggio è garantito, il Cammino di San Bartolomeo è percorribile. La tensione cala subito: ci fermiamo a case Corsini e dallo zaino di Simone spunta un thermos pieno di tè caldo. Sosta meritata prima di ripartire per Rivoreta, dove il mio accompagnatore mi lascerà. Saluti e un abbraccio di quelli che solo chi ha percorso un cammino insieme conosce.
Risolto il problema acqua, adesso ne arriva un altro: dai mille metri durante la notte è caduto qualche centimetro di neve. Supero il Bicchiere e la Secchia sulla strada, poi il sentiero s’inoltra nel bosco. Si sale rapidamente fino a quasi 1450 metri, il punto più alto è nei pressi della Casetta di Lapo. Nessun problema di percorribilità, il silenzio è totale: anche i passi sono attutiti dalla neve. Sbuco a pochi metri dalle Piramidi e subito inizio a scendere verso Fiumalbo, la tappa finale. La neve lascia di nuovo il posto al panorama autunnale. Gli ultimi chilometri stanno a un cammino come la domenica sera al weekend. E’ già tempo di nostalgia e li percorro con un certo fastidio. Fiumbalbo mi accoglie con il suo intreccio di stupende vie in pietra. Eccola lì la chiesa di San Bartolomeo, il punto d’arrivo. Dovrei essere appagato. E invece capisco che è solo un punto di partenza. Verso nuove esperienze ’slow’.
C’è una sensazione comunque a quanti percorrono il Cammino di San Bartolomeo: quella di non essere mai soli. Col passare del tempo, infatti, gli organizzatori hanno creato una rete che ’tiene d’occhio’ il pellegrino. E lo fa senza che questo se ne accorga, o quasi. Ogni posto tappa, ogni paese attraversato ha una sua sentinella silenziosa che informa il resto del gruppo dell’avvenuto passaggio. E così, mentre il pellegrino percorre i boschi, le informazioni corrono sui sentieri della Rete. E possono succedere cose curiose, come quella che mi è capitata quando ho varcato la soglia dell’ufficio informazioni turistiche di Fiumalbo per farmi mettere l’ultimo timbro sulla credenziale. «Finalmente, Davide. L’aspettavo», mi ha detto la gentilissima signora Raffaella. Mai vista prima.
Davide Costa