
di Lucia Agati
Orecchini, braccialetti e foulard perfettamente intonati, per non parlare della mascherina accuratamente abbinata, sono soltanto un inganno per l’occhio, perchè la concentrazione sulla realtà che la circonda è sempre altissima e la presenza, mentale e fisica, sulla gravità dei problemi che le sono piovuti addosso in questi quindici mesi con la pandemia è, come si dice, “h24“. E c’è anche il tempo, oltre che di occuparsi delle sue pazienti, di cucinare ottime parmigiane "alla vecchia maniera, friggendo tutto". Come ci riesca è un mistero perfettamente incastonato nel suo Dna. A 66 anni compiuti, è nata a Messina il 14 gennaio del 1955, Anna Maria Celesti, vicesindaco, assessore alle politiche sociali, presidente della Società della Salute Pistoiese, ginecologa, è un’inarrestabile forza della natura. Non lo sa nemmeno lei come le riesca tutto questo. Soltanto perchè non ha potuto avere figli? No. Non è questa la risposta.
Come è nata la sua vocazione di medico?
"Si è presentata prestissimo. Avevo 5 anni: volevo far nascere i bambini e volevo curare le persone. Sono privilegiata, perchè arrivo a questà età con un sogno realizzato. A 35 anni ero già in sala operatoria dopo aver vissuto le battaglie degli anni Sessanta e Settanta, quando era un dovere, per le donne, essere uguali agli uomini".
Poi qualcosa ha dato una sterzata improvvisa alla sua vita di donna...
"Pochissimi anni dopo, colta da una emorragia, mi viene dichiarata la mia impossibilità di avere figli. All’improvviso ero dall’altra parte della barricata. Dovevo rinunciare al senso della vita, come lo intendo io. E quindi ai figli. Non ho avuto questo privilegio. Il mio sogno, in questo caso, non si è compiuto. Il mio percorso di vita si esaurisce con me, senza poter trasmettere niente a un figlio, o a una figlia".
Come è riuscita a superare questo dolore?
"La maternità negata si riversa altrove. Si trasforma in disponibilità. Nell’essere portati al sacrificio anche se, qualunque sforzo tu faccia, non realizzi comunque quel senso della vita a cui aspiri. Ho vissuto, e vivo, senza essere riuscita a compiere quello per cui volevo vivere. Avevo tre possibilità. Potevo ricorrere alla fecondazione artificiale. Ma a quell’epoca era sperimentale, non era quella di oggi. Potevo adottare un bambino. Ma ho avuto una reazione di fragilità. Ci vuole una forza, e una determinazione, che non mi sentivo. Oggi è diverso anche quello. Ho scelto di rimanere com’ero".
C’è un ricordo che è più forte di quei momenti?
"Quel giorno non lo posso dimenticare. Abitavamo, mio marito Stefano e io, in via Zara. Ero attaccata alla ringhiera delle scale. Mi ero fatta un dosaggio ormonale e avevo capito. Dovevo dire alla mia paziente, cioè a me stessa, che non soltanto era sterile, ma che presto sarebbe andata in menopausa. Sono stata l’esempio delle patologie benigne che possono insorgere a quell’età, fra i 35 e i 39 anni".
E mentre lasciava andare questo sogno, faceva nascere tanti bambini...
"Ho avuto la fortuna di fare questa professione e la maternità negata è diventata qualcosa di molto più grande. In ogni donna l’utero è un elemento di forza. Ho smesso da tempo di contare quanti bambini ho aiutato a nascere".
E’ arrivata la pandemia, a rivoluzionare ancora una volta la sua vita...
"Sì. E’ in questo ultimo anno di emergenza che ho potuto dare tutto quello che avevo maturato nella mia esistenza e affrontare così tutte le difficoltà che si sono presentate. Nella mia vita, e nella mia professione, l’importante è sempre stato non farsi mai scoraggiare. A volte non so nemmeno io come ho potuto tenere il timone di certe giornate".
Per lei è importante essere d’aiuto?
"C’è sempre una richiesta di aiuto e tutto il resto si ridimensiona. Certo, resta il vuoto, specialmente a questa età, quando non sappiamo il tempo che è dato ancora da vivere. Ma non conta, perchè sappiamo di aver dato tanto".
In questi quindici mesi c’è un momento in cui si è sentita appagata?
"L’emozione più grande di questi ultimi quindici mesi, dove non ho mai mollato, è stata pochi giorni fa, quando ero all’Mcl, in San Biagio, a vaccinare. Mi si è presentata una ragazza di 34 anni che mi ha detto: “Lei mi ha fatto nascere e oggi sono orgogliosa di essere vaccinata da lei“. Sono stata felice per il messaggio che le aveva trasmesso la madre, un messaggio di vita e di continuità che riguardava anche me".
Ha un piccolo desiderio?
"La perdita dei miei genitori, il babbo nel 2005 e la mamma nel 2006, è stato un momento molto critico per me, perchè ho perduto le mie radici, il mio punto di riferimento. Quando squilla il telefono, vorrei che dall’altra parte ci fosse qualcuno che, come facevano loro, semplicemente mi di dicesse: “Buongiorno, come stai?“".