
Due giornate di "intelligenza collettiva" per celebrare il traguardo dei dieci anni. Dieci anni che il collettivo fiorentino Sotterraneo è in residenza artistica a Pistoia, di casa all’Atp, proseguendo in quel cammino di ricerca che lo contraddistingue dal 2005, anno della sua nascita e mettendo a segno risultati importantissimi, primi fra tutti tre Premi Ubu, uno dei massimi riconoscimenti in ambito teatrale. La festa prevede la messa in scena de "L’Angelo della storia" al Teatro Manzoni, sabato (alle 20.45) e domenica (alle 16), con due eventi post spettacolo, rispettivamente un dj-set e l’incontro con il giornalista Matteo Bordone. È con Daniele Villa, uno dei tre del nucleo autoriale fisso del collettivo, che tiriamo le fila del momento.
Cifra tonda: è d’obbligo un bilancio.
"Si è trattato di una simbiosi culturale, di una collaborazione allargata a un gruppo di ricerca che ha fatto della versatilità dei linguaggi la sua cifra. Atp è un luogo dove questa commistione accade. Per noi è stato un privilegio trovare una casa dove portare avanti una ricerca, incontrare, contaminare e restituire a Atp attraverso i nostri progetti la ricchezza acquisita". C’è spazio per la sperimentazione nel teatro di oggi?
"Lo stato di salute degli artisti è ottimo, l’attitudine al rischio e la voglia di sperimentare non mancano e l’ecosistema teatrale sta dando maggiore attenzione ai linguaggi della contemporaneità. Ma dentro a questa domanda ce n’è un’altra che guarda alla cultura in senso più ampio. In un tempo in cui tutto è così rapido e complesso il rischio è quello di una fuga verso risposte semplici che soddisfino i nostri pregiudizi. È lo stato di salute della cultura ad essere allarmante, siamo chiamati tutti a un lavoro di grande cura".
Tra i tanti i formati sperimentati, in quale siete più comodi?
"La nostra tuta alare per i lanci più azzardati è costituita dagli spettacoli frontali sul palco. Ma il teatro è quel che accade quando dei corpi agiscono di fronte a una comunità temporanea che si raduna. E questo prescinde da qualsiasi formato".
C’è un procedimento nella genesi dei vostri spettacoli?
"In un primo momento condividiamo un’ossessione, un problema che attraversa il nostro tempo e la nostra società, lo si studia e poi si va in sala a trasformarlo in una matrice di scene, azioni, testi che si fanno spettacolo. Lì poniamo al pubblico il nostro stesso problema".
Vi rivolgete anche a bambini e ragazzi. Come?
"Volendo offrire un pezzetto di immaginario a loro meno conosciuto. Dar loro l’idea che con la creatività possano accadere cose diverse da quelle attese. Proporre un’attitudine a essere sorpresi, spiazzati. Per restare culturalmente vivi".
"Angelo della storia" ha conquistato critica e pubblico. Perché?
"Gli Ubu hanno cominciato ad essere premi che intercettano gli spettacoli di ricerca, i nuovi autori, le creazioni originali. Il merito credo risieda proprio nell’aver portato un linguaggio che non è già sedimentato, essere riusciti a sfidare il pubblico rimanendo comunicativi, accessibili, coniugando profondità e immediatezza".
C’è già un titolo per il 2024, "Il fuoco era la cura". Di che si tratta?
"A partire dal capolavoro di Bradbury Fahrenheit 451 proponiamo una riflessione in questo tempo accelerato e confuso su come possiamo stare nella complessità senza impazzire, su come i libri e la razionalità collettiva vadano difesi".
linda meoni