
Sono da poco passate le 9.15. Arrivano uno dietro l’altro i tre autobus di Aeronautica Militare ed Esercito con a bordo 106 profughi afghani scappati da quell’infermo che è diventato Kabul dopo la presa dei talebani. Sono famiglie con bambini piccoli, alcuni anche neonati. Tra di loro anche un bimbo malato di leucemia che sta male, visto che non riceve cure da almeno due settimane. Per lui è stato disposto il ricovero all’ospedale Meyer di Firenze. Scendono ordinatamente dai bus aiutati dal personale della Croce Rossa Italiana e dai militari dell’Esercito in divisa. Destinazione: tre alberghi sanitari a Montecatini che li ospiteranno per il tempo necessario della quarantena preventiva. I profughi sono frastornati da un viaggio da incubo che però ha significato loro la salvezza, la vita. Negli occhi tanta stanchezza, certo, ma anche una certa distensione data dallo scampato pericolo, dal fatto di essere arrivati in un Paese amico, con i talebani lontani migliaia di chilometri ormai.
I più piccoli ricevono un lecca lecca o un dolcetto dal personale della Croce Rossa. Gli uomini, scendendo dal bus, ringraziano in inglese, qualcuno anche in italiano, portandosi la mano sul cuore e accennando un piccolo inchino. "Welcome to Italy" rispondono i volontari con un sorriso, nascosto dalle necessarie mascherine. Qualcuno dei nuovi arrivati si ferma anche a parlare coi giornalisti in un fluente inglese.
"Siamo stati obbligati a lasciare il nostro Paese. E’ stato tutto molto improvviso e abbiamo raccolto le poche cose che abbiamo potuto mettendole in uno zaino. Questo è tutto quello ha la mia famiglia adesso" dice Mali, un signore di 40 anni circa con moglie e due bambini.
"Io sono un ingegnere – continua – e spero un giorno di tornare nel mio paese. Purtroppo coi talebani siamo stati costretti a scappare, a lasciare la nostra terra che da 20 anni avevamo iniziato a ricostruire da zero. É molto doloroso, ma adesso speriamo in un nuovo inizio".
"Abbiamo pianto molto in aeroporto – racconta un giovane papà – perché non riuscivamo a prendere nessun aereo e avevamo paura di essere uccisi. Poi, grazie a Dio, ci siamo imbarcati su un aereo italiano. Abbiamo lasciato alle nostre spalle tutto, i nostri averi, la nostra casa che con tanti sacrifici avevamo finito di costruire dopo la guerra".
I bambini stanno in fila, ordinatamente. I più grandi badano ai fratellini e alle sorelline più piccoli. Nessuno piange, nessuno fa le bizze. Per tutti, grandi e piccini, c’è pronto un cambio di biancheria, acqua fresca e viveri di prima necessità messi a disposizione da Croce Rossa e Esercito. Ad accogliere i profughi anche il presidente della Regione Eugenio Giani.
"Queste persone verranno ospitate a Montecatini per un periodo di quarantena (sarà di sette giorni, ndr). Poi, teoricamente, verranno integrati in altri percorsi di accoglienza. Quelle che sono arrivate oggi sono persone di qualità, che hanno collaborato con le nostre istituzioni a Kabul finché abbiamo avuto una rappresentanza diplomatica italiana in città. Collaborano da anni con l’Italia e sono persone perbene, anche in vista dei possibili rapporti con la popolazione italiana una volta finita la quarantena". In serata c’è stato l’arrivo di altri 113 profughi, che portano la comunità afghana ospitata a Montecatini a 219 persone. Un capitolo della loro vita ricomincerà da qui, da Montecatini. Un nuovo inizio per mettersi alle spalle una guerra sanguinosa, una democrazia ricostruita con fatica e una fuga precipitosa dai talebani assetati di potere.
Francesco Storai