
In questo reparto del San Jacopo si parla soprattutto con gli occhi. Uno sguardo tra pazienti, medici, infermieri vale cento discorsi, più di mille parole. Rari gesti degli anziani intubati o tracheomizzati: muovere un braccio, girare la testa, spostare un piede che sbuca dal lenzuolo candido sono fatiche troppo pesanti per corpi fiaccati dal male, dalla lotta strenua per sopravvivere. Un paio di degenti che non sono in catalessi quando spiegano loro chi siamo salutano lentamente, le mani sostenute dalle infermiere che li stanno sottoponendo a fisioterapia. Terapia intensiva, Pistoia. Dodici letti dedicati a malati Covid, altri dieci nella ‘vecchia’ sub intensiva a sua volta trasformata in reparto Covid. Più altri sei di intensiva per non Covid. E’ qui, anche qui, il campo di battaglia di una città che resiste al virus, l’avamposto dove dolore e paura giorno dopo giorno, istante per istante, vengono esorcizzati dal personale sanitario con amore, pazienza, tenacia, la speranza oltre ogni fatica.
Con il collega fotoreporter Gabriele Acerboni abbiamo ricevuto il permesso dalla Asl Toscana Centro di entrare in terapia intensiva. Con il primario Leandro Barontini ci accompagna Michele Trinci, coordinatore infermieristico del reparto. Indossiamo due mascherine, cuffia, calzari, camice azzurro, doppi guanti di lattice e visiera trasparente antidroplet. Pronti. In una stanza a parte c’è uomo ancora giovane. E’ provato ma lucido, abbozza un sorriso tenue, reagisce sul letto ai movimenti impartiti dall’infermiera. Con il suo aiuto dal vetro riesce a rivolgerci un segno di saluto con il pollice, tutto ok, "è stato stubato da poco" rivela il dottor Barontini. Si apre la porta del reparto, la sensazione potente è di varcare la soglia di un mondo a parte. Anche se là dentro potrebbero esserci ricoverati i nostri nonni, i genitori. Nei letti i malati, molti in stato soporoso. Intorno un gran daffare di infermiere che li assistono, comunicano con brevi sussurri, trasmettono con sguardi – sì, gli occhi che parlano –, ammiccamenti e le mani guantate gocce di umanità e consolazione più preziose di acqua nel deserto. Le oss puliscono la grande sala, non si fermano mai, qualche paziente è prono, altri supini, dopo 8 e 16 ore vanno invertite le posizioni.
A un’anziana addormentata detergono bocca e denti, un ragazzo sui 35 anni con in testa lo ‘scafandro’ lancia ai visitatori uno sguardo pieno di un sentimento che non decifro subito, ma avverto fortissimo. ‘Voglio farcela’, o qualcosa del genere. Ognuno dei dodici letti ha un monitor collegato ai computer, il ventilatore, la siringopompa, ognuno dei dodici letti (e gli altri dieci nella seconda ala del reparto) costa duemila euro al giorno.
I letti: dottor Barontini, sono abbastanza?
"Non basta dire ‘raddoppio i posti letto di terapia intensiva’, l’elemento cruciale è il personale. Avete visto quanti sanitari ci vogliono per gestire un solo paziente?".
Manca personale nei reparti Covid?
"Assolutamente sì, ma non possiamo quantificare con esattezza quanti medici e infermieri. In condizioni normali il rapporto è di due infermieri ogni malato e sei pazienti a medico. Con l’emergenza che stiamo vivendo, pur con il personale non a pieno regime, stiamo tenendo duro anche grazie ai mezzi tecnici arrivati da Regione e Asl Toscana Centro. Riusciamo ancora ad assistere i pazienti adeguatamente, ma non siano lontani dalla situazione in cui non saremo più in grado di farlo".
Perché manca personale in terapia intensiva?
"Per i tagli inferti alla sanità pubblica da vent’anni a questa parte, per la riduzione dei posti nelle specializzazioni, per il numero chiuso alla facoltà di medicina che fu imposto in base a delle previsioni non emergenziali: ora che siamo nel pieno di un’emergenza, saltano fuori i difetti di cui sono responsabili più che i governi centrale e locale di adesso, quelli di alcuni anni fa. Attualmente stiamo aspettando alcuni anestesisti, dovrebbero arrivare, speriamo presto... Ma un medico ci vogliono anni a formarlo. Gli infermieri non sappiamo più in quale graduatoria prenderli".
Che fare, dottor Barontini?
"Rimboccarsi le maniche, cercare di resistere, facendo tutto il meglio per le persone che hanno bisogno dell’ospedale. Lo stiamo facendo. Abbiamo scelto di fare nella vita una professione di aiuto, lavoriamo di più di quanto prevedano contratti e accordi sindacali, ma lo dobbiamo fare".
La situazione degli infermieri, dottor Trinci....
"Nella prima ondata sono state fatte molte assunzioni dall’Asl, ora bisogna sfruttare con la massima flessibilità il personale disponibile. Abbiamo dovuto diventare molto flessibili nell’assistenza di ogni singolo paziente, altrimenti se guardiamo solo ai numeri non ce la facciamo".
Avete avuto personale contagiato?
"Medici no, infermieri sì, uno nella prima ondata, due nella seconda ma non è chiaro se sono stati infettati in reparto o all’esterno".
C’è una via di comunicazione tra i pazienti e l’esterno?
"Il contatto dei malati con i parenti attraverso tablet e telefonini, quando è possibile".
Affrontare il momento della morte: come ci si sente da professionista della sanità?
"Malissimo. Un’esperienza devastante, anche per la comunicazione ai parenti che non può che avvenire per telefono. Non possono nemmeno salutarli. Noi arriviamo spesso al limite delle lacrime". "Non avete idea – interviene Trinci perché gli occhi del primario luccicano di pianto – di quando i parenti vengono a riprendere gli abiti e gli oggetti dei loro cari defunti...".
I momenti di maggiore emozione nella vita di reparto...
"E’ bellissimo quando qualcuno guarisce ed esce da qui verso un altro reparto, accompagnato dai nostri applausi. Ma la situazione più commovente è quando vengono a ringraziarci i parenti dei pazienti deceduti".
Tra medici, infermieri e oss è quotidiana la paura del contagio?
"Certo. Ci sono colleghi che nella prima ondata e anche nella seconda hanno lasciato la propria casa per non mettere a rischio i parenti".
E’ un virus carogna perché la stragrande maggioranza dei positivi è paucisintomatica. Magari sono positivo, non lo so ma infetto il prossimo...
"Per questo ripetiamo la necessità della mascherina chirurgica e delle misure di igiene e distanziamento. Se ci proteggiamo adeguatamente, proteggiamo automaticamente gli altri".
Utile o no vaccinarsi contro l’influenza?
"Sì, soprattutto gli anziani. Anche se poi mancano le dosi. Mi lasci però aggiungere un aspetto ancora sul Coronavirus: le situazioni di maggior rischio sono per persone affette da ipertensione, obesità e diabete".
La seconda ondata peggiore della prima...
"La prima ci ha presi tutti di sorpresa. La seconda faccio fatica a ripetere lo stesso concetto, professionalmente non lo accetto. Dovevamo, ‘dovevano’ prevederla. Il messaggio chiaro è che la pandemia, l’avete visto con i vostri occhi, non è una fiction. I pistoiesi stiano tranquilli, noi non ci arrendiamo. Ce la faremo anche questa seconda volta, ma abbiamo bisogno dell’aiuto dei cittadini responsabili, e tralascio di perdere tempo a contestare le tesi dei negazionisti, gente che non ha materia cerebrale... Per favore, i pistoiesi ci aiutino. Si aiutino".
Simone Boldi
(fotoservizio AcerboniFoto Castellani)