Il pronto soccorso è una polveriera I medici: pronti a lasciare in massa

Lettera di accuse alla Regione, inviata anche a Meloni, firmata dai sanitari pistoiesi coi colleghi toscani "La situazione è tragica, condizioni indecenti. E i politici lasciano ricadere le responsabilità su di noi" .

Il pronto soccorso è una polveriera  I medici: pronti a lasciare in massa

Il pronto soccorso è una polveriera I medici: pronti a lasciare in massa

Ci sono anche 17 medici del pronto soccorso del San Jacopo e 12 dell’ospedale di Pescia fra i 288 professionisti toscani che hanno firmato un ultimatum indirizzato prima di tutto al presidente della Regione, Eugenio Giani, ma anche alla premier e al ministro della Sanità Orazio Schillaci sull’insostenibilità del lavoro nei dipartimenti di emergenza urgenza. Una lettera aperta, inviata anche alle Aziende sanitarie, che non lascia spazio a fraintendimenti: "Se la situazione resta quella attuale, ci dimetteremo in massa". Un appello forte che tira in causa la Regione: "Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un progressivo peggioramento della qualità delle nostre prestazioni" in quanto costretti a lavorare in un condizioni insostenibili "con carichi di lavoro senza limiti" e "in quanto ogni giorno dobbiamo far fronte all’affollamento del pronto soccorso, sia per l’iperafflusso di pazienti che per la carenza di posti letto negli ospedali. Questo mette a rischio la salute pubblica. Un incremento che è diventato emergenza e l’emergenza è diventata routine. Le criticità sono note a tutti ma, nonostante le ripetute grida di allarme, nessun provvedimento efficace è mai stato preso dalla politica sanitaria regionale". Accuse pesanti contro le carenze organizzative e di personale "senza precedenti", tanto che spesso i medici si trovano a svolgere attività che non fanno parte del loro lavoro e spesso sono costretti a rinunciare a ferie e riposi. I medici al contempo avanzano proposte per "far fronte alla tragedia in atto". Al primo posto mettono la necessità di aumentare il personale, poi la riduzione degli accessi e la riduzione del boarding (attesa dei posti letto negli ospedali).

Tra le proposte per affrontare la carenza di personale è indicato "il coinvolgimento del personale del 118, delle guardie mediche per la valutazione dei codici minori, degli internisti e dei chirurghi nella turnistica oltre all’incentivazione della scelta della specializzazione in medicina di urgenza dei giovani laureati e del pronto soccorso da parte dei giovani specialisti, anche attraverso incentivi economici". Del resto scrivono ancora i professionisti "il lavoro del medico di pronto soccorso non può essere contrattualizzato come quello dei medici ambulatoriali o di reparto. I ritmi di lavoro, le responsabilità, l’organizzazione a turni, l’elevato numero di notti lavorate in un mese, la scarsità di giorni di riposo canonici, le violenze verbali e fisiche da parte di utenti e loro parenti sono tutti aspetti che non possono non far identificare questo lavoro come usurante". La riduzione degli accessi al pronto soccorso è un altro obiettivo da perseguire facendo capire ai cittadini tramite "campagne di comunicazione l’importanza di rispettare il pronto soccorso in quanto sede di gestione di problemi gravi di salute" oltre "all’implementazione di sistemi territoriali" facendo riferimento alle case di comunità "che sappiano rispondere ai bisogni differibili di salute, liberando l’ospedale dal sovraffollamento e restituendo la cura ordinaria dei pazienti ai medici di base".

Infine, resta prioritario ripristinare "almeno in parte i letti tagliati negli ultimi anni per far fronte alla situazione attuale che vede pazienti sostare nelle barelle per ore o giorni. Molto spesso il capro espiatorio per questa problematica è il pronto soccorso e il suo personale e difficilmente i pazienti e i parenti riescono a identificare i veri responsabili da ricercare nella dirigenza politica della Regione". Letti che potrebbero essere incrementati sfruttando anche le strutture esistenti per i posti di cure intermedie o in strutture attivate per la pandemia.

Sara Bessi