
’Così Giuseppe ci salvò’ Il sacrificio di Giulietti raccontato da Franca che aveva sette anni
di Linda Meoni
Aveva sette anni appena, ma quell’immagine è sempre lì, viva. Anche ottant’anni dopo. Perché la furia dei tedeschi al tempo della guerra e le raffiche di mitra se le hai viste e sentite da vicino sono come un tarlo. Scavano, lasciano il segno. E non c’è cura capace di guarire quella ferita, né anni passati per seppellire lo strazio. "Io quel 29 luglio 1944 lo ricordo come fosse oggi: il sacrificio di un uomo ci salvò la vita. Quell’uomo, lo scoprimmo un attimo dopo il suo ultimo respiro, si chiamava Giuseppe Giulietti". Alla Croce di Montechiaro, il giorno dell’agguato dove perse la vita Silvano Fedi assieme al fidato compagno Giulietti, c’era anche Franca Pacini Lottini.
Aveva solo sette anni. Ed è Franca Pacini Lottini oggi, a qualche giorno dalla commemorazione al monumento funebre al cimitero comunale di Pistoia, a soffiar via la polvere su quei vecchi, dolorosi ricordi restituendoli alla memoria collettiva.
"Eravamo sfollati in una casa colonica dove vivevano una signora di cui non ricordo il nome e la figlia, Luigina – ricostruisce Franca -. C’eravamo io, mia mamma Elda, mia nonna Amalia e le mie sorella Anna, 13 anni, e Carla, quasi 17. Quella mattina del 29 luglio a loro era stato dato il compito di prelevare l’acqua nei pressi di un ponticino vicino al casale, in fondo all’aia. Carla e Anna tornarono indietro senza il secchio che si erano portate appresso. Si erano bisticciate e lasciarono perdere quel compito. Mia mamma era dispiaciuta di quel litigio. Io mi offrii di andare a recuperare il secchio. Mi incamminai e cominciai a sentir colpi di mitraglia. Mi rifugiai sotto al ponticino coi piedi a bagno nell’acqua aspettando che finissero gli spari. Mentre ero lì sulla sponda opposta vidi passare un tedesco col fucile spianato. Non mi vide. Forse finse di non vedermi. Un attimo dopo un giovane ragazzo che viveva vicino alla nostra casa di fortuna, si chiamava Giovanni, passò di lì. Mi chiese cosa stessi facendo lì tutta rintanata. Si offrì di accompagnarmi a casa, arrivammo strisciando per il campo". Poi ecco dei lamenti provenire da fuori, Giovanni e Carla che con coraggio si spingono a vedere da dove arrivi quel rumore.
"Tornarono poco dopo a casa trascinando un giovane ferito – continua Franca -. Lo appoggiarono ad un muro, qualcuno portò un guanciale, altri un bicchierino con qualcosa di forte da bere sperando che il ragazzo si potesse riprendere. Ma era ferito, pallidissimo, le labbra bluastre. Gli chiesero se avesse documenti compromettenti addosso, lui disse di no e si rifiutò che gli venisse aperta la camicia per controllare. Un istante dopo un gruppo di tedeschi fece irruzione in casa". Il terrore in una stanza, l’incapacità di muoversi bloccati dalla paura.
"Fu un attimo: trovarono i documenti addosso a quel giovane, Giuseppe, e come li videro uno dei tedeschi impugnò la rivoltella, gliela puntò alla tempia e davanti a noi senza pietà alcuna gli sparò. Il suo sacrificio salvò certamente noi dalla fine. Fu preso un gruppo di anziani e fu detto loro di scavare una buca davanti all’aia di casa. Lì sotterrarono Fedi e Giulietti. E i tedeschi ci dissero che se i partigiani fossero venuti a rimuovere quei corpi avrebbero ritenuto noi responsabili. Fu terribile. Dopo qualche giorno andammo via da quel luogo e trovammo riparo a Villa Pagnini dove stava una mia zia sfollata per sentirci più sicuri". Ottant’anni dopo il ricordo di quel giorno riaffiora a rileggere sulle nostre pagine delle celebrazioni per Fedi e Giulietti e ecco il bisogno di aggiungere un tassello di memoria e verità a quei momenti arrivati a noi sbiaditi. "Ho sentito il bisogno di raccontare perché sono certa che Giulietti abbia in qualche modo salvato la vita a noi con il suo gesto ed è giusto che lo si ricordi anche per questo. Non so se qualcuno presente quel giorno sia ancora vivo, forse quel Giovanni che portò al casale Giulietti ormai probabilmente in fin di vita. Se sono tornata in quella zona? Una volta, vent’anni fa. Quella vecchia casa non l’ho mai più ritrovata, neppure quel ponticino sotto al quale trovai riparo. Ma quel ricordo non lo cancella niente".