Aggredito per una partita di calcio "Atto vile: non potevo difendermi"

L’intervista al pistoiese Stefano Turchi, ex calciatore malato di Sla: "Sono provato dalla violenza subita"

Aggredito per una partita di calcio  "Atto vile: non potevo difendermi"

Aggredito per una partita di calcio "Atto vile: non potevo difendermi"

A distanza di tre giorni dalla vile aggressione subita è ancora scosso Stefano Turchi, 54enne pistoiese, una carriera a rincorrere il pallone ma dal 2009 costretto dalla Sla, la "Stronza" per adoperare le parole di una delle sue vittime più famose, Stefano Borgonovo, su una sedia a rotelle. L’assurdo atto di violenza di cui è stato vittima ai bordi del campo da un giovane padre di famiglia nel corso di un incontro di calcio giovanile tra il Brusaporto, di cui è responsabile del settore giovanile agonistico, e l’Uesse Sarnico, ha lasciato evidenti segni. Fuori e dentro.

Come sta, innanzitutto?

"Ho qualche contusione, bernoccoli e lividi. Sono moralmente provato. Quando, come nel mio caso, non puoi difenderti, ti crollano le residue certezze. E poi, essere malmenato senza motivazione alcuna, per una partita di calcio...ti lascia basito".

Che cosa è successo?

"Ero nel recinto di gioco, a bordo campo, ove possono stare tesserati e dirigenti. Il signore in questione sbraitava da fuori, attaccato alla rete di recinzione. Essendo il padre di uno dei giocatori, con una scusa è riuscito a entrare a lato del terreno di gioco. Gli ho solo detto di uscire, che lì non poteva stare. Ha perso la pazienza, la testa: calci e pugni a me – che me la sono cavata solo per l’arrivo di altri dirigenti del Brusaporto –, calci alla mia auto".

È più deluso, amareggiato o arrabbiato?

"Deluso e amareggiato. L’arrabbiatura ti può passare, ma quel gesto così brutto, pessimo esempio per i ragazzi, aggravato dalla mia condizione di disabile, ti resta dentro. Ti ferisce, ti fa riflettere: vale la pena di subire tutto ciò?".

Come si può guarire il mondo del calcio, specie a livello giovanile? Impedendo ai familiari e agli amici di assistere alle gare?

"Me lo sto chiedendo anch’io. Tra l’altro, giochiamo su campi senza tribune… No, non servirebbe a nulla giocare a porte chiuse e non sarebbe neppure giusto. Si deve aumentare il dialogo con le famiglie. Parlarci, spiegare loro, smorzare le tensioni. È un gioco e deve tornare a essere tale. Pensi un po’: come sodalizio, abbiamo pure lo psicologo, che interloquisce con genitori, zii, nonni, fratelli, sorelle. Educhiamo i familiari dei nostri tesserati. Facciamo il possibile. Ma è cambiata la nostra società, il mondo: oggi si dà ragione a prescindere al bambino, preferendo sfogarsi, se va bene, o picchiare l’insegnante, l’istruttore, l’allenatore. È un problema serio, che ti porta a meditare sulle tue scelte. Ho vissuto una vita nel calcio (tra l’altro, portò l’Ancona in serie A, nda), ma erano altri tempi quando giocavo".

Tutta Pistoia è sotto choc. Che rapporto ha con la sua città natale?

"Vivo da 25 anni a Grumello del Monte nel bergamasco (ove ha sporto denuncia ai carabinieri; è stato medicato all’ospedale di Seriate per escoriazioni, ematomi e trauma cranico, nda), ma Pistoia è ancora casa mia. Ci vengo spesso, ho ancora mamma, sorella, parenti. E ho tanti amici nella vicina Prato, ove ho giocato per anni".

Come procede la sua battaglia contro la Sla?

"La sto combattendo. È una partita difficile, ma per ora tengo duro. Sono ancora abbastanza autosufficiente, vivo una vita abbastanza normale. Mentalmente l’ho accettata. Spero che il suo corso sia più lento possibile". E noi con lui.

Gianluca Barni