
Addio reparto covid La fine di un’era "Ora bisogna aumentare il personale"
Quasi quaranta mesi, più di tre anni a fare i conti con un male invisibile. A tentare di resistere a una tempesta che a un certo punto, persino ai più tenaci, è apparsa interminabile, impossibile da superare. Ma che infine ci ha condotti sin qui: 9 giugno 2023, chiude il reparto covid del San Jacopo. Niente lieto fine, ovviamente, a vedere quella lunghissima scia di dolore, morte e sofferenza che questa pandemia ha lasciato, ma per ogni storia che si conclude c’è una lezione che resta ed è da quella che occorrerebbe ripartire. All’oggi e allo ieri guardiamo in questo particolare momento con la dottoressa Anna Maria Celesti, presidente della Società della Salute Pistoiese, il cui impegno in questo travagliato viaggio non ha mai mancato di palesarsi.
"È la prima volta che viene chiuso completamente il reparto – ci racconta, con un velo di emozione –. Da oggi, in presenza di positivi al covid, si costituiranno le cosiddette ‘bolle’: i pazienti, qualsiasi sia il loro reparto di degenza, verranno isolati e così trattati". Un momento che non esageriamo a definire ‘storico’: "Lo è perché, insieme ai tanti altri che vediamo da qualche mese, è il segnale obiettivo della fine di uno dei peggiori periodi vissuti dal punto di vista sanitario, economico e sociale – afferma –. Non dimentichiamo mai però il prezzo che abbiamo pagato per arrivare sin qui: altissimo – ricorda Celesti –. Occorre far tesoro di alcune considerazioni per evitare che in un futuro possa succedere quello che è successo agli inizi del covid, quando si è fatto i conti con una totale impreparazione a un evento estremo come questo. A che mi riferisco? A un maggiore impegno di risorse anche economiche nella prevenzione, ai mancati investimenti sul territorio per quel che riguarda la rete socio-sanitaria e socio-assistenziale, alla carenza di medici e infermieri – sciorina –. Tutti elementi già presenti prima del covid e poi esplosi a inizio pandemia".
"Lo vediamo ancora oggi quanto è difficile far sì che il territorio diventi l’epicentro prima della salute e poi della sanità. Avevamo chiamato tutti i medici, il personale sanitario e non nelle nostre strutture ospedaliere, oggi ce ne siamo dimenticati e siamo tornati particolarmente critici anche nei confronti di un mondo che in condizioni certo non ottimali cerca di lavorare al meglio delle proprie possibilità". Di qui la necessità, per la dottoressa Celesti, di ritoccare una serie di aspetti dal cui miglioramento dipende la salute del cittadino, la tenuta di un sistema intero: "Occorre incentivare anche economicamente i nostri medici e infermieri che sono, ricordiamo, i meno pagati d’Europa, incrementare strutture come i pronto soccorso. Il Pnrr – conclude la presidente – da questo punto di vista con gli investimenti in materia di ospedali e case di comunità si pone l’obiettivo di superare questa situazione. Tuttavia sono molto perplessa e preoccupata perché si rischia di veder sorgere tante strutture strutturalmente e tecnologicamente belle che potrebbero però diventare cattedrali nel deserto in assenza di serie riforme universitarie e delle specializzazioni".
linda meoni