REDAZIONE PISA

Soldi spariti in tribunale Il caso arriva in Cassazione

La vicenda dell’ex funzionario Unep: si sarebbe appropriato di oltre 400mila euro

di Carlo Baroni

PISA

È arrivata al capolinea della Cassazione, che ha mandato definitivo il pronunciamento della corte d’appello, una vicenda di truffa e peculato di cui è ritenuto responsabile il sanminiatese Alessandro Pianigiani, 77 anni, in servizio all’Unep (ufficio notifiche) dal 1995 all’11 febbraio 2014. I giudici di secondo grado – si legge – dichiarata la prescrizione dei reati di truffa per le condotte fino al 22 aprile 2013, avevano rideterminato, con la diminuente del rito abbreviato, in un anno e 10 mesi di reclusione la pena inflitta a Pianigiani per i reati di truffa e peculato dal dicembre 2008 al 10 febbraio 2014.

Così riformando la sentenza del tribunale di Pisa con la quale era stata disposta, anche, la confisca per equivalente di somme per un valore corrispondente a euro 457.675,50 euro. Secondo la ricostruzione delle sentenze di merito l’imputato, quale dirigente dell’ufficio Unep del tribunale e, quindi, pubblico ufficiale "si era appropriato della somma complessiva di 457.675,50 euro incassata per il servizio notifiche atti civili, somma che non veniva corrisposta alla società Poste Italiane e che non veniva rinvenuta sui conti correnti dell’ufficio". L’imputato, inoltre, secondo l’accusa, "si era appropriato, per un importo complessivo di 915,75 euro, della somma ottenuta inducendo in errore, con artifici e raggiri, il consiglio dell’ordine di Pisa sulla ricorrenza di una maggiorazione delle tariffe postali per servizi accessori in realtà non fruiti né fruibili". "Le risultanze dell’ispezione (del ministero) – scrivono gli ermellini, motivando il rigetto del ricorso – sono state ritenute, con argomentazioni ineccepibili, estremamente significative sul punto dell’effettivo incasso delle somme dovute all’ufficio in relazione alle operazioni di notifica, smentendo, così, la tesi difensiva che l’importo oggetto della contestata appropriazione fosse stato ricostruito sulla scorta delle “pretese creditorie” azionate da Ente Poste, per le quali pende controversia civile e, dunque, sulla scorta di un dato non univoco e pacifico".

La difesa, tra vari aspetti, denunciando carenze di motivazione, e anche travisamento della prova, aveva puntato il dito contro la conclusione "che le somme - asseritamente dovute a Poste Italiane — siano state effettivamente riscosse: conclusione che la Corte ha ritenuto avallata da una sorta di confessione dell’imputato implicita sia nel non avere chiesto di eseguire una perizia contabile, sia nella sottoscrizione del modulo prestampato di Poste Italiane dal quale si rileva l’entità del debito, trascurando che l’imputato non ha però alcuna capacità rappresentativa dell’Unep non essendo dirigente dell’ufficio". Ricorso rigettato e condanna, anche, al pagamento di 3mila euro alla cassa delle ammende.