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Prof Letizia e i software a misura di donna "Il futuro è in una tecnologia più inclusiva"

La pisana Jaccheri, docente di Computer Science in Norvegia, vincitrice del Premio Oda Prize per la parità di genere nel Tech

di Paola Zerboni

PISA

Una donna tutta “Cuore e computer“, come il romanzo che ha pubblicato nel 2004 con Mondadori Editore. Letizia Jaccheri, pisana doc, 56 anni, insegna Computer Science all’università di Trondheim, in Norvegia. Ed ha appena vinto il Norwegian Oda Prize, premio assegnato alle donne che hanno dato contributi concreti per aumentare la presenza femminile nella tecnologia. Candidata a sua insaputa dalle sue allieve. E scelta, recita la motivazione del premio, per come sa "ispirare le accademiche e le giovani appassionate di tecnologia".

Come lo fa?

"La cosa più importante è esserci, partecipare alle discussioni dove si prendono le decisioni. L’importante è la rete di relazioni con le persone più brave, ricordarsi dei “role model” del nostro passato, riscrivere la nostra storia e identificare persone e momenti che ci hanno ispirato per trarne la forza di ispirare le relazioni presenti. Io cerco di condividere i miei errori e i miei insuccessi con le mie studentesse, i progetti che non vengono finanziati, gli articoli non pubblicati possono essere più importanti per una giovane ricercatrice di quelli pubblicati. Come esseri umani possiamo ancora raccontare storie diverse e potenti".

Cosa l’ha portata in Norvegia?

"Ci sono andata la prima volta nel 1989, con una borsa del studio del Ministero degli esteri italiano. Merito del mio relatore professor Vincenzo Ambriola, dell’Università di Pisa, che mi spinse a andare all’estero. Lui era stato in America allá Carnegie Mellon University, culla della ricerca in ingegneria del software, lì aveva conosciuto il professor Reidar Conradi, uno dei padri dell’ingegneria del software a livello internazionale. Ambriola diceva, “i piu’ bravi vanno mandati via”. Iscrivermi a informática per me fu come entrare in un mondo parallelo popolato di giovani ricercatrici e ricercatori provenienti da ogni parte d’Italia e che erano già stati a lavorare e imparare in tante parti del mondo. Il mio professore norvegese Conradi era ossessionato dal “gender gap in Computer Science” già nel 1989".

E cosa l’ha fatta rimanere?

Sono rimasta, o meglio sono tornata in Norvegia dopo un periodo al Politecnico di Torino perché ho sposato un norvegese. O forse ho sposato un norvegese perché ero motivata o destinata a diventare una professoressa attivista femminista. Le donne italiane dicono “Mio marito mi aiuta”. Io e mio marito ci siamo sempre divisi i compiti, anche se negli anni sono sempre stata io che mi sono preoccupata di più per i figli. Ma forse a parte il preoccuparsi, ha fatto più lui di me. In Norvegia, sono diventata professore ordinario a 37 anni, con posto pre-assegnato alle donne, prima che questi posti pre-assegnati diventassero illegali. Ho avuto la possibilità di attingere a fondi che mi hanno permesso di attrarre e assumere ricercatori, donne e uomini e mettere in piedi iniziative come il progetto IDUN, che combinano la ricerca con azioni rivolte alle pari opportunità".

Anche in Norvegia la tecnologia è più roba da maschi?

"In EUGAIN https:eugain.eu (un progetto europeo COST Action per cui sono direttrice); manteniamo una panoramica su tutti i paesi europei. A livello di laurea triennale e magistrale, l’80% o più degli studenti che si iscrivono o si laureano ai corsi di laurea i informatica sono uomini. A livello di Ph.D., ad eccezione di Bulgaria, Romania, Estonia, Turchia, tutti gli altri paesi hanno meno del 25% di donne che si diplomano al dottorato in informatica. In media, in tutta Europa, le donne occupano meno del 15% dei posti di professore ordinario. La stragrande maggioranza (83,3%) degli specialisti in IT impiegati nell’UE sono uomini. A Trondheim facciamo meglio su tutti i parametri, ma altre università in Norvegia fanno peggio. Anche qui abbiamo società di software con meno del 5% di specialisti ICT".

E l’Italia?

"L’italia è un paradosso. Le donne italiane sono bravissime. Quando facciamo riunoni a livello dei direttori delle COST Action, la metà delle persone nelle riunioni sono donne italiane. Anche la bravissima Elena Cuoco, che dirige la COST Action https:www.g2net.eu - una vera scienziata che si comporta in modo semplice e che si impegna a aiutare le giovani ricercatrici e salire la scala verso il potere accademico".

Ha mai avuto la tentazione di tornare?

"Io torno spesso, per lavoro, per coltivare gli affetti familiari e le amicizie. Dal 2015 al 2018 sono stata nel consiglio di amministrazione di Reply SPA, a lavorare con una grande donna, Tatiana Rizzante, ex studentessa del Politecnico di Torino. La mia ricerca è incentrata sull’ingegneria del software rivolta all’innovazione sociale, i miei valori sono diversi da quelli di una multi nazionale come Reply, ma abbiamo in comune la volontà e l’interesse di attrarre e educare i talenti all’informatica".

Quanto è importante che le donne riescano ad approcciarsi senza “timore” a tutte le aree della ricerca?

"Sarò specifica. Il mio argomento di ricerca è l’ingegneria del software. Se l’obiettivo è fornire software in grado di migliorare la vita di tutti nella società, tutti devono essere coinvolti nella creazione dei requisiti software e nell’implementazione, test e distribuzione del software”, ha affermato. disse. Ci sono una serie di esempi di tecnologia che forniscono soluzioni per gli uomini che non funzionano per le donne. Stiamo cambiando questo. La mia ricerca èfocalizzata su come i processi IT devono essere modificati per includere più donne. Rendere i processi di sviluppo più inclusivi si tradurrà in prodotti software più inclusivi e potente".

Lei ha una marcia in più. Ma nella sua carriera ha trovato sostegno tra colleghe e amiche? E che consiglio si sente di dare alle ragazze italiane?

"Non credo di avere una marcia in più. Una delle mie care amiche, colleghe, grande supporto al progetto IDUN, la professoressa Laura Giarré, fiorentina, tenta di spiegarmi le teorie di controlli automatici, sin da quando eravamo due giovani ricercatrici al politecnico di Torino. Non ho senso dell’orientamento, mi perdo anche per i corridoi dell’università in cui sto da vent’anni, ci sono campi della scienza che non capisco affatto. Il mio consiglio è ammettere sempre sbagli e imperfezioni, senza perdere la fiducia in se stessi e di non lasciare il potere agli uomini. Potere e soldi, possono essere concetti negativi, diventano positivi quando ti permettono di influenzare le attività nella direzione in cui credi".