Caso Orlandi 35 anni dopo. "La risposta è in Vaticano"

Uno degli esperti è il pisano Tommaso Nelli

Tommaso Nelli (foto di Andrea Contenti) con il libro su Emanuela Orlandi

Tommaso Nelli (foto di Andrea Contenti) con il libro su Emanuela Orlandi

Pisa, 7 novembre 2018 - Aveva 8 mesi quando Emanuela sparì come inghiottita da quell’autobus in mezzo alla folla. Ma è sempre stato appassionato ai grandi misteri italiani e così, quando lesse un libro sul caso Orlandi, di cui oggi si è tornato a parlare per il ritrovamento di ossa in Nunziatura, fu così preso da una storia triste e incredibile da decidere di approfondirla. Il pisano (nato e cresciuto nella città della Torre pendente) Tommaso Nelli, giornalista pubblicista, dopo una tesi sulla vicenda della 15enne scomparsa nel 1983, ha scritto «Atto di dolore. Errori investigativi, testimonianze inedite e documenti desecretati: il caso di Emanuela Orlandi è una partita ancora aperta» (David Matthaus editore), a breve è prevista una riedizione.

Perché ha deciso di occuparsi di un fatto che ha commosso e inquietato tutta Italia e non solo?

«Mi è sempre piaciuta la storia del nostro Paese, in particolare quella dalla seconda guerra mondiale a oggi. Dopo aver dato il primo esame per la specialistica in Giornalismo alla Sapienza, andai in libreria per acquistare qualcosa sulla banda della Magliana ma non trovai niente di particolare, così, nella stessa area, trovai un libro su Orlandi. Lo lessi e mi si aprì un mondo, molti dei luoghi citati facevano parte della mia quotidianità».

Da qui, la sua tesi.

«Sì scritta in tre mesi, nei quali però sono riuscito a raccogliere materiale e interviste».

Da che cosa è partito?

«Ho cercato di ricostruire l’universo sociale di Emanuela, i microcosmi che componevano la sua vita. La scuola, le amicizie in Vaticano (lei era una cittadina di questo Stato), la scuola di musica. Ma anche di ricostruire che cosa fosse accaduto quel 22 giugno 1983. Sparì in un contesto surreale, in corso Rinascimento a Roma fra il Senato e piazza Navona».

Che cosa l’ha colpita?

«Il fatto che da un punto di vista investigativo non fosse stata troppo approfondita la dinamica».

E il libro?

«Avevo la possibilità di parlare con molte persone. Così mi attivai. Nei documenti sui mandanti dell’attentato al papa, trovai una serie di atti su Orlandi e contatti trascritti dal suo diario. Presi gli elenchi telefonci dell’83, era il 2014, e andai agli indirizzi dell’epoca. Tra i vari testimoni, sentii una sua amica. A cui Emanuela, era primavera del famoso anno, confidò che tempo prima, durante una passeggiata ai giardini vaticani, fu avvicinata da un ecclesiastico che la infastidì. Tra l’altro, sempre la stessa amica, disse che due settimane prima della sparizione la vide rabbuiata».

La pista della proposta di lavoro ricevuta proprio quel giorno da Emanuela?

«Erano episodi diffusi all’epoca: una scusa per abbordare ragazze».

Quindi, da scartare... Ma lei si è fatto un’idea?

«Credo che la soluzione possa essere in qualche modo all’interno del Vaticano e che il movente sessuale possa essere uno dei più probabili».

Ha mai avuto problemi per le sue ricerche?

«Tentativi di sminuire il mio lavoro sì. Ma mai ricevuto minacce».