"Noi in salvo, mentre tutto intorno crollava Un bimbo è morto davanti ai nostri occhi"

Alberto Mariotti, 28 anni, pisano, volontario del servizio civile racconta l’inferno di Antakya: "Vivi perché la nostra casa era antisismica"

"Noi in salvo, mentre tutto intorno crollava  Un bimbo è morto davanti ai nostri occhi"

"Noi in salvo, mentre tutto intorno crollava Un bimbo è morto davanti ai nostri occhi"

Nella terra che non sta mai ferma, tra polvere e pioggia, Alberto Mariotti, pisano di 28 anni e volontario del servizio civile internazionale, racconta la fuga dell’inferno di Antakya (Antochia ndr) dove si trovava nella notte tra domenica e lunedì, quando tutto è crollato. La città turca, nella provincia di Hatay, è una tra le più colpite dal terremoto che ha visto morire tra Turchia e Siria più di 19 mila persone. Si trova a solo un’ora di macchina dal confine, è la città nata sul fiume Oronte, distrutta dai terremoti del presente e del passato.

Nella notte tra il 5 e il 6 dove si trovava?

"Stavo dormendo nell’appartamento che Ahmet, il responsabile del nostro progetto, aveva trovato per me e gli altre tre volontari italiani. Due monolocali, uno davanti all’altro, in una palazzina di sei piani, noi eravamo al secondo. Domenica notte ero da solo, perché il mio coinquilino era fuori. Ricordo quando ci hanno presentato la casa, Ahmet ci disse di essersi accertato che fosse antisismica. E per fortuna così è stato".

La terra ha tremato?

"Mi sono svegliato e mi sono seduto sul letto, era già successo per cui inizialmente non mi sono allarmato troppo. Qua tutti sanno che la terra non sta mai ferma. Poi è peggiorato, è andata via la luce e dalla finestra ho visto gli edifici barcollare. A quel punto mi sono messo sotto la porta".

Cos’ha pensato?

"È difficile da spiegare. Non hai tempo. I mobili cadevano insieme a tutti gli oggetti della casa. Ho pensato alle due ragazze nell’appartamento a fianco. E poi...".

Poi?

"Ho pensato, andrà come deve andare. Appena finita la scossa, ho recuperato le altre due volontarie e siamo scesi per strada. È a quel punto che ci siamo resi conto della devastazione. L’edificio accanto al nostro era scomparso, tutt’intorno case e palazzi distrutti. Sotto la pioggia, in pantaloncini e con due scarpe una diversa dall’altra, mi sono radunato insieme ad altra gente in un piazzale. Dove abbiamo aspettato".

I soccorsi?

"I primi sono arrivati tra le 9 e le 10 di mattina. Erano gruppetti di gendarmi che si sono messi a cercare superstiti tra le macerie. Davanti a me c’era una donna disperata, cercava i suoi due bambini, e fortunatamente è riuscita a trovarli. Intorno al fuoco per scaldarci, c’era una famiglia siriana con un bimbo ferito ad un piede. A un certo punto i parenti hanno iniziato a piangere intorno al ragazzo. ho capito che non ce l’aveva fatta. Non sapevamo dove andare. Una donna con un neonato nel borsone, ci ha detto che anche l’ospedale era venuto giù, arrivava da lì e stava andando in centro. Anche quello ho scoperto poco dopo essere completamente distrutto".

La prima cosa che ha fatto?

"Ho mandato un messaggio alla mia famiglia, alla mia ragazza e ai miei amici, per avvertirli di essere in salvo e poi ho spento il cellulare per conservare la batteria".

Ora dove si trova?

"Abbiamo incontrato il coordinatore, Ahmet, per caso, ci ha portato via in macchina a casa dei suoi nonni, dove abbiamo passato due notti, senza corrente e acqua. Mercoledì in autostop siamo arrivati a Adana, dove ci troviamo al momento. Tra noi c’è chi vuole rimanere".

Per aiutare?

"Esatto, come interpreti può servire aiuto. Ma avendo visto la situazione so per certo che siamo completamente inutili. Abbiamo amici ad Istanbul, cercheremo di raggiungerli e da lì si vedrà il da farsi".

Enrico Mattia Del Punta