ANTONIA CASINI
Cronaca

La coppia anticovid: "Noi, moglie e marito medici in corsia"

Nicoletta ha cominciato da subito in Pneumologia, Anio da febbraio 2021 nell’hospital del Santa Chiara come anestesista e rianimatore

Nicoletta Carpené e Anio Paperini

Pisa, 13 febbraio 2022 - Combattono entrambi il virus: la loro figlia lo ha disegnato di rosa. Sono medici e marito e moglie. Nicoletta Carpené, originaria di Busto Arsizio, ma da quando aveva 6 anni, in Toscana, lavora in Pneumologia. Anio Paperini, livornese, dal 2006 è all’Unità operativa di Anestesia e rianimazione materno infantile e Santa Chiara impegnata sia all’edificio 2 che, da quando è nata la struttura specializzata, al 21, al Covid hospital. Condividono casa (a Livorno), interessi e anche, spesso, malati.

Come è cambiata la vostra vita da quando è arrivata la pandemia? "Dal punto di vista organizzativo, il lavoro è rimasto simile, anche se qualsiasi attività, anche la più semplice, deve essere affrontata con vestizione completa. Gli orari sono stabiliti su turni. Il periodo del lockdown è stato difficile: avevamo il dubbio se lasciare la piccola (ha 6 anni e frequenta l’asilo) dai nonni, poi, abbiamo deciso di lasciarla con noi. Abbiamo cercato di non fare le notti insieme. Sul fronte psicologico è stato difficile: all’inizio conoscevamo poco questa malattia". E come l’avete affrontata? Anio: "E’ apparsa subito strana: avevamo poche o punte armi a disposizione, abbiamo dovuto adattare le nostre conoscenze". Nicoletta: "Il reparto è stato modificato. Rammento le riunioni al mattino con l’ufficio tecnico, si decideva lì per lì con i lavori che venivano svolti di notte". Cosa ricordate del periodo? "La grandissima collaborazione fra tutti: ognuno per le proprie competenze – risponde la dottoressa Carpené – I collegamenti di notte con i colleghi delle Terapie intensive del Nord che ci raccontavano la loro esperienza". Sono cambiati i pazienti? "Inizialmente erano persone sane, abbastanza giovani. E’ una malattia subdola che dà insufficienza respiratoria spesso asintomatica. Comunicare con i parenti era uno dei problemi più grossi. Adesso, in alcune condizioni e con precauzioni possono entrare. Così noi, ma soprattutto oss e infermieri, abbiamo fatto da tramite con gli i-pad: siamo entrati nelle loro case". E adesso? "I ricoverati in terapia intensiva sono prevalentemente non vaccinati. Le cure sono pesanti (casco e stare a pancia sotto). Ci sono anche 30enni senza alcun tipo apparente di patologie, poi magari si scopre che hanno ipertensione. Anche qualche vaccinato (nei grandi numeri ci sta) che non ha però la terza dose". Il vostro rapporto personale con il virus? "Per due anni ne siamo usciti indenni, a gennaio, lo abbiamo preso tutti dalla piccina: siamo stati bene perché vaccinati". Ma lei, la vostra bimba, come vive il vostro lavoro? "Cerchiamo di parlarle e spiegarle sempre. All’inizio ci ha fatto un disegno tutto rosa con le zampe verdi e ci ha detto ‘questo è il virus’". Vi confrontate sui pazienti? "Ci scontriamo anche per curarli al meglio" Una storia che vi è rimasta dentro? "E’ tutta una storia da due anni. I pazienti ci inviano poi le loro foto: le loro facce le abbiamo davanti agli occhi. Abbiamo rincontrato anche tanti colleghi con cui avevamo studiato". Che cosa vi attendete? "Sembra che la variante possa rappresentare un momento verso il ritorno a una situazione normale. Lo abbiamo detto altre volte, ma, adesso, ci sono i vaccini. Facciamoli e speriamo".