
Silvia Adami
Pisa 20 dicembre 2016. Competenza, professionalità e, soprattutto, un fascio di umanità capaci di rendere meno inaccettabile il calvario della nostra famiglia». Usa queste parole Silvia Adami, sorella di Massimo, deceduto dieci giorni fa all’ospedale di Cisanello in seguito ad una grave patologia epatica. Una pagina di buona sanità che, specie nel delicato periodo caratterizzato da tagli, poche risorse e polemiche, nuota controcorrente e fa bene al cuore. Di chi legge. E di chi, soprattutto, è costretto a vivere sulla propria pelle periodi di sofferenza e malattia. E proprio a questi ultimi desidera rivolgersi Silvia che, nel raccontare le ultime strazianti settimane del fratello, ha trovato molto più di una semplice clinica nel reparto di malattie infettive di Cisanello.
«Competenza e bravura – racconta Silvia ripercorrendo il dolore del fratello – ma, al di sopra di tutto, una sconfinata umanità. Infermieri e personale sanitario, costretti ogni giorno ad affrontare situazioni delicatissime, sono stati ineccepibili nel non farci sentire soli». Ingredienti essenziali, ma purtroppo non sempre presenti, nelle storie dei pazienti e delle loro famiglie.
Massimo, malato cronico di cirrosi a causa di un’epatite di tipo C contratta da bambino, è stato recentemente colpito da un linfoma, il cui epilogo è stato un’infezione che lo ha completamente consumato. «Non è stato semplice per noi fratelli – prosegue Silvia – venire a contatto con il raparto di i malattie infettive: ci siamo trovati di fronte ad una realtà peculiare e non conoscevamo tutte le premure ed accortezze richieste per poter assistere il nostro caro. Davanti ad ogni porta ci sono le indicazioni che riportano come devono entrare i visitatori nelle stanze per evitare possibili contagi». Smarrimento, paura, terrore. Sono queste le prime sensazioni che Silvia avverte e, complice il dolore per le precarie condizioni di salute del fratello, non riesce a mantenere la lucidità e il giusto distacco che servirebbero.
«Non troveremo mai le parole giuste – ricorda Silvia – per esprimere la profonda gratitudine e la riconoscenza per questo reparto. Gli infermieri, ad uno ad uno, ci hanno spiegato come sistemare la mascherina, ricordandoci sempre di utilizzare i guanti e tutti gli altri accorgimenti necessari. Ogni parola ci veniva detta con affabilità, gentilezza e con un leggero velo di ironia per cercare di sdrammatizzare ed esorcizzare la paura». Nel frattempo Massimo, 55 anni e diventato nonno da poco, si aggrava. Una brutta infezione ha il sopravvento e gli antibiotici che dovrebbero contrastarla non vanno d’accordo con il suo malandato fegato. «Ed è proprio quando abbiamo capito che non c’era più niente da fare – conclude Silvia ricordando gli ultimi istanti di quella agonia – che sono tornate alla mente le parole di un famoso detto: ‘Fa più rumore un albero che cade di un’ intera foresta che cresce’. Il bene intorno a noi non alza la voce per farsi riconoscere, non è prepotente o sguaiato, ma c’è e delicatamente ci porge la mano. E proprio la loro mano ci hanno teso Roberta Doria, Laura Pini e la dottoressa Petruccelli, medici eccezionali che hanno aiutato nostro fratello e, più in generale, tutta la famiglia a sopravvivere a questo calvario. Una storia senza dubbio di lancinante dolore ma anche di profonda e sincera gratitudine che deve servire ogni volta che facciamo di ogni erba un fascio e cataloghiamo la nostra sanità quale esempio di cattiva gestione».