
PISA
Adattarsi, nonostante le difficoltà e a scapito anche dei guadagni consolidati negli anni passati. È la nuova dimensione assunta dal calcio nel post-lockdown, nella quale le dinamiche tra sponsor e società hanno ceduto il passo ai protocolli di sicurezza da rispettare. "Questa nuova realtà ha imposto anche agli attori principali una rivoluzione totale del modo di vivere la professione e la vita privata". Davide Bonavolontà (foto), psicologo dello sport, sottolinea così la metamorfosi forzata che ha subito il calcio dopo l’esplosione della pandemia da Coronavirus: "L’uomo, nel mondo animale, è la specie che riesce ad adattarsi meglio e più velocemente a nuovi scenari di vita. Il virus ha stravolto tutto, però nel giro di pochi mesi siamo riusciti a mettere in atto nuove procedure con le quali approcciarsi al lavoro, al relax e alla vita privata". Lo psicologo prosegue nella sua analisi portando la sua attenzione su alcuni dati pubblicati da FIFPro, la federazione che raccoglie tutte le associazioni calcistiche professionistiche del mondo: "Da maggio l’incidenza di ansia e stress nei calciatori interessati dal sondaggio è raddoppiata, passando dall’11 al 22%". Bonavolontà cita gli esempi del portiere Michael Agazzi e del tecnico Bepi Pillon: "Il primo si è ritirato dal calcio, il secondo si è dimesso dalla panchina del Cosenza: entrambi hanno dato la precedenza alla famiglia". Lo psicologo spiega che "fin dalla preparazione estiva saranno richiesti ai club e ai calciatori dei ‘sacrifici’ prolungati. I tamponi e i test sierologici ogni tre-quattro giorni diventeranno la routine ed entreranno a far parte del capitolo di spesa fissa della società. Lo scenario del gruppo squadra sarà ‘appesantito’ anche dalla necessità di non lasciarsi andare a svaghi eccessivi nell’ambito della vita privata. In pratica, ciò che prima veniva visto come ‘normale’ adesso è etichettato come ‘pericoloso’: senza scomodare i party nelle discoteche, anche una semplice cena con gli amici di sempre può costituire un pericolo per chi deve scendere in campo. È un sacrificio dispendioso sul piano delle energie mentali, soprattutto per i calciatori più giovani".
Andrea Martino