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‘Le parole che restano’ di prof Letizia. Da Pisa alla Norvegia in prima linea tra algoritmi e impegno per la parità

Nata e crescitua a due passi dalla Torre, Jaccheri da 30 anni insegna informatica dei software alla prestigiosa Norwegian University of Science and Technology. Ci racconta il suo libro in uscita domani

La prof. Letizia Jaccheri

La prof. Letizia Jaccheri

Pisa, 4 giugno 2025 –  Nata e cresciuta a Pisa, da 30 anni vive e lavora in Norvegia, dove insegna Ingegneria del software alla prestigiosa Norwegian University of Science and Technology (NTNU). Letizia Jaccheri, 60 anni, vive di numeri, ma ama le parole e fa dell’impegno per la promozione della parità di genere, nella scienza e non solo. Un cervello in fermento più che cervello in fuga, ha appena scritto il suo secondo romanzo, “Le parole che restano” (La Caravella editrice), che esce domani, giovedi 5 giugno.

Letizia, come e quando nasce questo libro?

"Vivo fuori dalla Toscana dal 1989 e col passare degli anni ho sviluppato una passione per le frasi della nostra infanzia. Rileggendo Lessico Famigliare della Ginzburg, regalatomi da mia cugina, ho iniziato a scrivere le mie frasi, il mio lessico familiare, sui file nel computer e sul mio blog (letiziajaccheri.org). Ora che i miei figli sono entrambi laureati, lavorano e non vivono più a casa, ho trovato tempo ed affetto per metter tutto insieme. Ci sono le frasi di mamma, nonna, zia, quelle imparate a Torino, dove ho fatto il dottorato e vissuto gli anni 90. E quelle imparate in Norvegia. Il coraggio di pubblicarlo mi è venuto dalla costatazione che andando su audible (io amo gli audiolibri) tutte le biografie che trovo sono di uomini. Ho pensato, nel mio piccolo voglio contribuire, magari una ragazza che cerca una biografia trova la mia. Ho po’ di paura che qualcuno che si riconosce nel libro non sia contento. Spero che tutte le persone nominate sentano il mio affetto e la riconoscenza per le parole che mi hanno regalato".

Da piccola come si vedeva?

"Come sono ora. Volevo diventare maestra come la mia nonna e mia zia. In un certo senso lo sono diventata perché una prof universitaria è una maestra di ragazzi più grandi. Mi piaceva organizzare feste, ora organizzo le conferenze internazionali. Ridevo e piangevo e lo faccio anche adesso. Da piccola dicevo che volevo fare il Papa, per salutare in tante lingue diverse. A volte mi dico “sono nata donna, sì, può essere penalizzante, ma pensa esser nata donna nell’emisfero sud, in una tribù dell’Amazonia, magari eri analfabeta”. Ora parlo e scrivo perfettamente l’italiano, l’inglese, il norvegese. Parlo il portoghese, imparato a quasi 60 anni lavorando tre anni in un progetto di cooperazione col Brasile, capisco svedese e danese, il tedesco se lo rispolvero lo so ancora. Di ogni lingua mi affascinano le parole, il norvegese ha una parola, “likestilling”, per tradurla in italiano si deve dire “parita’ di genere”. Lo svedese ne ha due, sempre per parità’ di genere, “jämställdhet” e “Jämlikhet” Mi chiedo come fanno a capire la parità di genere e l’uguaglianza le persone che, nella loro lingua, non hanno queste parole".

Una donna di numeri, brava ad usare le parole. Come fa?

"Ho fatto il liceo classico, forse ho imparato lì. Poi forse è genetica. Alcuni amano le montagne e gli alberi (come mio marito). Io amo le parole, ma non ho senso dell’orientamento né so costruire niente. A Trondheim per capire la differenza tra il fiordo, il canale e il fiume ci ho messo 10 anni e a volte mi confondo ancora, ma il norvegese l’ho imparato in sei settimane. Starei tutto il giorno a chiacchierare o leggere, come quando ero a scuola. Mi ricordo tutto quello che si diceva. A volte eravamo cattive e invidiose tra di noi. Bisogna imparare a trasformare l’invidia in ammirazione e tirarsi su a vicenda. L’ho imparato nel mio lavoro con le reti di donne che si sostengono nella tecnologia".

Lei è stata premiata in Norvegia per il contributo a promuovere la parità di genere nella scienza e per lo stesso motivo è cavaliere dell’ordine della stella d’Italia. Quali parole mancano per raggiungere una vera parità secondo lei?

"Il mio babbo diceva “non ti pentirai mai di cose mai dette”. Penso che da una parte di parole se ne dicono troppe nel momento sbagliato. Ho sentito, anche recentemente, genitori dire alla bambina “tu dovresti fare l’infermiera” e al bambino “tu dovresti fare l’ingegnere”. Sento ancora colleghi, magari appena emigrati da paesi in cui la parità di genere non è all’ordine del giorno dire “le ragazze a programmare non sono brave”. Lo dicono davanti a me che studio e mi impegno per la parità di genere nella tecnologia da trenta anni. Come faccio a non strozzarli non lo so. Ho imparato che bisogna essere femministe allegre e strategiche, sennò si ottiene l’effetto contrario. Le parole che mancano sono quelle che alleviano fardelli, sensi di inferiorità, paure. La mia prozia Maria Jaccheri quando avevamo paura ci diceva “Un’e’ nulla un’e’ nulla che vuoi che sia”. Era maestra di taglio e cucito, per anni dopo che era morta, incontravo sue allieve che mi chiedevano se fossi la nipote di Maria Jaccheri. Sono stata fortunata ad avere sin da piccola persone forti e positive che hanno visto in me del potenziale".

E ora?

"Ciò che mi interessa di più è capire e spiegare l’intelligenza artificiale, conseguenze, rischi, benefici. Ho una lezione che si chiama “AI for all”, Intelligenza artificiale per tutti. Mi invitano in tanti da tante parti del mondo a tenere quella lezione. E io parto. Cina, Russia quando si poteva Pakistan, Brasile. Ogni volta, c’è almeno una ragazza, di solito sono tante che mi guardano e mi ascoltano incantate e poi mi seguono dappertutto. Mi dicono che non hanno mai visto una donna della mia età che lavora. I colleghi qui in Europa mi dicono che sono pazza, mi chiedono chi me lo fa fare. L’intelligenza artificiale deve essere regolata e noi ne sappiamo qualcosa, non tutto certo, nessuno sa tutto e anche chi è come me nell’informatica da 40 anni, sa sempre di meno: lo sviluppo avviene sempre più velocemente e in pochi posti, perlopiù in California nelle grandi multi nazionali: Microsoft, Apple e Google. E’ importante continuare a studiare, a cercare le parole per influenzare quelli che hanno il potere ma non necessariamente la competenza di fare le leggi sull’uso e lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale, che è collegata alle lingue e alle parole: sotto ai mostri ChatGPT e Copilot ci stanno gli LLM, i grandi modelli di linguaggio addestrati su tutte le frasi e tutte (o quasi) le parole del mondo. Nel libro racconto che ho perso nel 2008 la cittadinanza italiana quando ho acquisito quella norvegese. Proprio in questi giorni che il libro sta uscendo è uscita una legge italiana, secondo la quale dal 1° luglio 2025 noi che abbiamo perso la cittadinanza la possiamo riacquistare. Non so bene come, ma sento che quel passaporto ritrovato, quando lo avrò in mano lo vorrò usare bene e sarò tanto felice di riaverlo".

Ha due figli maschi, c’è una parola che spera conservino tra le “parole che restano”?

“I miei figli quando erano piccoli parlavano al femminile perché sentivano parlare solo me. Dicevano “mamma sono stanca”. E mi chiedevano “sei stanco?”. Ora se ci ripensiamo ci ridiamo. Ho insegnato loro l’italiano, le miriadi di meravigliose parole italiane, che parlano e capiscono bene. Hanno il passaporto italiano che hanno acquisito alla nascita e non hanno mai perso. Mi sembra un bel regalo, no?"

Di Paola Zerboni