
di Francesco Paletti
PISA
"Chi teme di mettere in pericolo l’identità culturale di Pisa e di contaminare i suoi monumenti, eretti dalla fede di un popolo cristiano, permettendo che vi si costruisca una moschea, non dovrebbe preoccuparsene". Parte da qui la riflessione di monsignor Severino Dianich, 86 anni, sacerdote pisano e teologo di fama nazionale, già vicario episcopale per la pastorale della cultura e dell’università della diocesi di Pisa. Con un indiretto ma esplicito riferimento alla polemica sul "caso moschea", da settimane centro del dibattito cittadino. Per quello che è un vero e proprio viaggio nella storia dell’arte pisana e dell’influenze che su di essa ha avuto la cultura islamica.
"A contaminare i suoi monumenti con intrusioni di elementi di altre religioni e culture – scrive Dianich-, soprattutto di quelli provenienti da artisti musulmani dei paesi arabi, ci hanno già pensato a loro tempo i lontani predecessori degli attuali amministratori che, nel 1000 e nel 1200, assieme all’arcivescovo, soprassedevano alla progettazione e alla costruzione del Duomo e degli altri monumenti della sua piazza. Sia all’esterno che negli interni, per la decorazione dei paramenti murari, non disdegnarono di copiare dalle moschee dei paesi arabi, nei quali i pisani non giungevano solo per le guerre, ma anche per i commerci e gli scambi culturali e delle tecnologie costruttive, il motivo delle fasce bianche e nere, che si affermeranno come l’emblema dello stile romanico pisano".
D’ispirazione araba anche "gli archi acuti delle navatelle laterali del Duomo, destinati a diventare un motivo caratteristico del gotico, e volendo dotare di un bel pavimento mosaicato il presbiterio del Battistero - prosegue Dianich- ritennero bello far lavorare, accanto ai maestri della famiglia romana dei Cosmati, anche una maestranza di marmorari arabi, che ne hanno decorato le superfici laterali, affiancando alle volute intarsiate di stile cosmatesco, che brillano nella parte centrale, i motivi caratteristici dei loro tradizionali arabeschi".
Ma tracce visibili di arte e l’architettura islamica si ritrovano anche in molte altre chiese pisane: "Per decorare gli esterni della basilica di San Piero a Grado, della chiesa di San Sisto e dell’abbazia di San Zeno -continua Dianich - creavano, in genere immediatamente al di sotto della sporgenza del tetto, gli spazi in cui collocare splendidi bacini di ceramica araba, di cui oggi si può ammirare nel museo di San Matteo una delle collezioni più importanti del mondo". Perché "gli scambi culturali con il mondo arabo erano costanti – sottilinea il teologo –: certamente nessuno nella Pisa medievale avrebbe mosso una piega nel vedere che uno dei pisani più celebri, Leonardo Fibonacci, andava in Algeria per approfondire i suoi studi alla scuola dei grandi matematici islamici". Scambi che sono proseguiti anche in seguito: "Nel 1469 Benozzo Gozzoli dipingerà nel Camposanto una scena della vita di Abramo, che la Bibbia non racconta, e che invece si trova narrata nel Corano". Da qui la conclusione: "Questa è la grande tradizione culturale della città di Pisa che oggi è necessario difendere: l’identità di una città colta, aperta nei suoi studi e nelle sue creazioni artistiche, ieri come oggi, in un quadro di illimitati orizzonti internazionali".