Nelle città meno boriose e disattente di Pisa, quando c’è una ricorrenza la si festeggia. Pisa no, a Pisa si ricorda tutti felici e contenti la battaglia della Meloria, quando i Genovesi ci fecero neri, e basta, noi siamo felici così. Quest’anno ricorre la morte di uno dei più importanti pittori italiani postmacchiaioli, Francesco Gioli. Nacque a San Frediano a Settimo nel 1846, e morì a Firenze il 4 febbraio 1922. Si formò a Pisa, città con la quale mantenne sempre stretti rapporti, e come artista ottenne premi e una mostra personale alla Biennale di Venezia, non alla sagra di Monticciolo di sotto.
Abitava Francesco con la moglie Matilde Bartolomei una bella villa a Fauglia, che divenne un cenacolo intellettuale assai colto, e fu amico, ma amico sul serio, di Fattori, Signorini, Lega. La sua pittura seppe interpretare in modo raffinato la lunga stagione successiva agli anni eroici della Macchia, senza cadere nel provincialismo, ma precisandosi in alcuni assoluti capolavori. Da quando è morto, la città non gli ha mai dedicato una mostra antologica: gli Amici di Pisa non vanno oltre le colonne d’Ercole della conquista fiorentina; quelli altrettanto amici dei Musei organizzano gite bellissime, il Comune è impegnatissimo nelle indimenticabili mostre alla chiesa della Spina.
In autunno si terrà a palazzo Blu una mostra, che si annuncia bellissima, sui Macchiaioli. Forse le autorità pubbliche cittadine dovrebbero approfittarne, e realizzare una pur modesta manifestazione su Francesco (e magari anche sul fratello Luigi). Detto meglio nell’italiano degli stenterelli che va di moda adesso: un evento.
Il Franti