Disastroso rogo del Monte Pisano Slitta di un anno processo d’appello

Cinque anni fa l’incendio che distrusse il versante calcesano divorando oltre 1300 ettari di vegetazione. Sul banco degli imputati l’ex volontario Aib Giacomo Franceschi, condannato in primo grado a 12 anni.

di Carlo Baroni

PISA

Un rinvio di un anno. Si torna in aula a fine febbraio del 2024 per il processo d’appello con al centro l’incendio che devastò il Monte Pisano e che vede sul banco degli imputati Giacomo Franceschi, 41 anni, ex volontario dell’Antincendio boschivo, condannato in primo grado dal collegio del tribunale di Pisa (presidente Dani, a latere Grieco e Iadaresta) a 12 anni di reclusione. L’udienza di ieri davanti ai giudici fiorentini si è risolta in un mero rinvio per una questione – si apprende – di incompatibilità nel collegio giudicante.

Si farà il secondo processo, dunque, a quasi sei anni dal dramma che cambiò l’aspetto del monte e del quale è stato ritenuto responsabile Franceschi, ex volontario dell’antincendio boschivo, accusato di aver provocato il rogo che il 24 settembre 2018 distrusse quasi 1300 ettari di vegetazione. Undici le case colpite (cinque devastate) in quell’evento, 700 le persone evacuate tra Montemagno e Noce.

Un processo per incendio doloso e disastro ambientale che ha visto numerose parti civili: l’associazione Gva, di cui Franceschi era parte, rappresentata dall’avvocato Lorenzo Stefani; i Comuni danneggiati, quelli di Calci e Buti attraverso la penalista Laura Antonelli; il Comune di Vicopisano assistito da Silvia Fulceri e la onlus ambientalista "Lega per l’abolizione della caccia" rappresentata dal legale Valentina Angelini.

Franceschi, anche in appello, è assistito dal penalista pisano Mario De Giorgio, che l’ha difeso con grande determinazione nel processo di primo grado. "Quella sera non ero sul Serra, ma a casa", si era difeso Franceschi, davanti ai giudici aggiungendo "Sono salito sul monte solo dopo". Il difensore aveva chiesto per lui una sentenza di assoluzione, per mancanza della certezza della responsabilità e offrendo al collegio un’altra lettura dei fatti. Così una volta arrivate le motivazioni della sentenza ha impugnato la condanna davanti alla corte d’appello. Per l’accusa le prove della responsabilità di Francechi nel rogo sono emerse nelle “sue contraddizioni, nel percorso di Google Maps che i militari hanno trovato sul suo cellulare, e poi le intercettazioni e le telecamere che lo avrebbero ripreso in discesa dal monte in orario compatibile per accendere la miccia, un ordigno con avvio "lento".

Mozziconi di zampirone, per l’accusa, che avrebbero consentito all’uomo di allontanarsi per tornare a casa. Ma, soprattutto, la sua “autoconfessione” agli uomini dell’Arma. Un quadro che tra un anno sarà messo alla prova del secondo processo con al centro il rogo del Serra di cui Franceschi è l’unico imputato, condannato anche a 350mila euro di risarcimento danni.