
di Andrea Martino
Una doppia anima, frutto dell’ultracentenaria abitudine a mescolare tradizione e innovazione per creare un mix irripetibile nella Mitteleuropa: Varsavia è una capitale moderna e accattivante, con le radici che scavano in profondità nella storia. Questa duplice natura si può rintracciare in ogni ambito: dalle correnti culturali fino allo sport, dove il calcio è percepito come un dogma. Ci sono le chiese, simbolo del legame fortissimo della popolazione alla fede cattolica, e poi gli stadi. "Belli, comodi. Pensati per giocare e per tifare. A pensare agli impianti italiani c’è da diventare verdi per la vergogna": Alessio De Petrillo dipinge con questi pochi tratti di pennello la sua personale rappresentazione della Polonia e, più nello specifico, della capitale Varsavia.
"Una metropoli cosmopolita, che ho iniziato a conoscere da soli cinque mesi – spiega il tecnico pisano -. Sto vivendo un’esperienza umana e lavorativa totalizzante: estremamente faticosa, ma terribilmente appagante". Riavvolgiamo il nastro della nostra storia e torniamo al prologo della vicenda. Estate 2019, in Italia si disputano gli Europei Under 21 e la Polonia è allenata da Czeslaw Michniewicz, il quale l’anno successivo si siede sulla panchina del Legia Varsavia, la più prestigiosa formazione polacca.
"Nel corso della competizione ho avuto modo di conoscere il mister – ricorda De Petrillo -. Dopo un anno è arrivata una delle telefonate più inaspettate della mia carriera: Michniewicz mi voleva come tattico al Legia Varsavia. Pensavo fosse uno scherzo, invece Czeslaw era serio e aveva speso parole importanti con la dirigenza del club". E così è iniziata l’avventura di un pisano in Polonia: "Non nascondo che ero molto titubante. Avrei dovuto fare un salto nel buio, lasciando la famiglia nel bel mezzo di una pandemia per trasferirmi in un Paese con una lingua sconosciuta". L’ansia non è calata neppure quando, una volta messa la firma sul contratto, "a gennaio siamo partiti per il ritiro di Dubai. La mattina entravo nello spogliatoio e mi chiedevo ‘ma chi me l’ha fatto fare?’. Ero in mezzo a campioni veri, gente abituata a vincere, e io mi sentivo un marziano. Il fatto di lavorare ogni giorno con l’obbligo di essere i migliori era una novità assoluta. Ci ho messo tanto impegno, ho fatto parecchi sacrifici, ma alla fine ho assaporato il gusto di uno scudetto. Ed è bellissimo".
Il Legia Varsavia pochi giorni fa ha conquistato il quindicesimo titolo dell’Ekstraklasa, la Serie A polacca, e domenica prossima festeggerà assieme al proprio pubblico. E quando il trofeo arriverà tra le sue mani, Alessio De Petrillo lo alzerà al cielo senza pensare a rivincite né rimpianti: "Ho imparato a godermi il presente. Ciò che più conta è il viaggio, le emozioni vissute durante il percorso e i legami intrecciati con le persone. Delle vendette sportive e delle rivincite non mi interessa niente". Una dedica, però, ci sarà: "Alla mia famiglia. Che una volta ha dovuto attendere fino a 25 ore il mio ritorno a casa, tra scali in aeroporto, tamponi e ritardi".