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Caso Scieri e i vertici parà "Non vennero in caserma"

In collegamento dall’ambasciata di Washington il generale Stefano Messina all’epoca ufficiale di picchetto: "Nessuna visita di Celentano e Corradi"

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Oltre un’ora e mezzo (dalle 15 a dopo le 16.30) di audizione del generale Stefano Messina, all’epoca ufficiale di picchetto, in collegamento dall’ambasciata di Washington, dove ora lavora. E’ uno dei testimoni ascoltati ieri nel processo per la morte di Lele Scieri davanti alla Corte d’assise, imputati sono due ex caporali Panella e Zabara, difesi dagli avvocati Cariello, Di Giuliomaria e Schettini (il terzo è stato assolto ma la Procura ha già presentato appello). Si ripercorre ancora una volta la notte del 13 agosto 1999 quando Emanuele perse la vita per mano di atti violenti, secondo l’accusa, botte e prevaricazioni legate alla pratica del nonnismo. I vertici erano consapevoli di quanto era accaduto? "Non ci fu alcuna visita alla Gamerra del comandante della Brigata Folgore generale Celentano né del comandante del centro addestramento di paracadutismo colonnello Pierangelo Corradi", la risposta del generale Messina. Un punto sul quale sia il procuratore Alessandro Crini con il sostituto Sisto Restuccia che la difesa della famiglia con gli avvocati Ivan Albo e Alessandra Furnari hanno insistito spiegando che esiste un codice militare con eventuali ordini di segretezza. Fu impartito anche a lui quella sera in cui Lele scomparve per poi essere ritrovato tre giorni dopo ai piedi della torretta di asciugatura dei paracaduti? Il generale ha risposto di "no". La presidente Beatrice Dani: "Non vogliamo sapere il contenuto del segreto ma se in quella occasione ha avuto un segreto militare". Ancora una risposta negativa e ferma. Attenzione anche agli orari e alla possibilità di uscire prima del contrappello, a quello delle 23.45 Scieri fu segnato assente, perché non fu cercato subito? E’ il quesito che la famiglia si pone da anni. Infine, il processo disciplinare "ho impugnato l’atto e vinto il ricorso".

"Stanno emergendo le personalità dei tre imputati principali – il commento della parte civile - e anche l’atteggiamento cameratesco di molti testimoni".

Antonia Casini