di Giuseppe Meucci
PISA
uelle ombre che ancora circondano il caso Moro e si allungano fino a Pisa sono tornate d’improvviso a prendere corpo con i sospetti che hanno portato di nuovo alla luce il nome di Paolo Baschieri e il ruolo che il fisico pisano, già ricercatore del Cnr, potrebbe avere avuto in quella tragica vicenda italiana. Una eventualità questa ancora da chiarire dopo l’esame del Dna su alcuni mozziconi di sigaretta trovati 43 anni fa in via Fani e nel covo di via Gradoli, mai collegati ai brigatisti finora scoperti e condannati, ma che è servita a riaprire una pagina di storia pisana mai andata in archivio, quella che riguarda la presenza delle Brigate Rosse in città ed ha una data d’inizio precisa: il 14 febbraio 1971.
Giusto mezzo secolo fa. Fu quella notte che a Marina di Pisa una bomba piazzata dietro la saracinesca di un negozio sul lungomare uccise lo studente Giovanni Persoglio che si era fermato per dare l’allarme dopo aver visto il fumo provocato dalla miccia. Un evento che abbiamo rievocato in queste pagine pochi giorni fa nel cinquantesimo anniversario di quella morte assurda che ebbe poi un seguito clamoroso con il delitto dell’Archetto, il ristorante di via La Nunziatina. Tre mesi dopo la notte della bomba fu trovato morto sul monte Castellare, sopra Asciano, Luciano Serragli, il proprietario del locale noto per essere un ritrovo degli estremisti di sinistra. Grazie a un cacciatore di farfalle notturne che sorprese i due camerieri del ristorante mentre stavano per gettare il corpo del Serragli nella Buca delle Fate si sviluppò un’indagine lunga complessa che alla fine accertò che il Serragli era stato ucciso con una iniezione di curaro perché voleva rivelare i nomi degli autori dell’attentato di Marina. Balzò così in primo piano la figura di Alessandro Corbara, un geometra dipendente della Provincia, che aveva organizzato l’attentato.
Era lui il capo della nascente colonna pisana delle Brigate Rosse e nel suo ufficio, insieme ad armi ed esplosivi, furono trovati documenti che facevano esplicito riferimento alla lotta armata e alle azioni eversive. Il coinvolgimento di Pisa nelle vicende del terrorismo italiano non si esaurì con la bomba di Marina. Pisa ha continuato per molti anni ancora ad avere un ruolo nei tragici “anni di piombo”, anche se non in una posizione di primo piano, ma piuttosto come retrovia e centro di elaborazione di strategie poi dispiegate altrove. Basta pensare appunto all’arresto di Paolo Baschieri, all’epoca studente di Fisica, che nel dicembre del ’78 fu fermato a Firenze con un’auto piena di armi ed esplosivi insieme ad altri due pisani, Dante Cianci e Gianpaolo Barbi, diretti chissà dove, forse a Milano. Ed ancora: pochi mesi prima, il 2 marzo 1978, erano stati rubati dall’istituto di Matematica dell’Università un lettore elettronico di matrici e la testina rotante di una macchina da scrivere elettrica Ibm poi utilizzati per stampare non pochi documenti diffusi dalle Brigate Rosse durante la prigionia di Moro. Inoltre a bordo dell’auto trasformata nella bara del leader democristiano furono trovati alcuni contrassegni assicurativi in bianco rubati il mese prima a Pisa in una agenzia in corso Italia.
Che a Pisa ci fossero non pochi brigatisti rossi lo dimostra anche il fatto che è proprio in città, e precisamente nella Casa dello Studente dell’ex Nettuno in lungarno Pacinotti, che trovò rifugio durante la sua latitanza Mario Moretti, il capo delle Brigate Rosse responsabili del sequestro e dell’uccisione di Moro. Nel 1981 Pisa balzò di nuovo alla ribalta per un altro episodio di terrorismo quando un commando armato sequestrò il generale americano James Lee Dozier, comandante delle forze Nato del sud Europa. Del gruppo faceva parte Giovanni Ciucci, un ferroviere pisano che era alla guida dell’auto con la quale fu portato via l’ufficiale. Ma non era finita. Pisa sarebbe stata in qualche modo ancora coinvolta anni dopo nella improvvisa recrudescenza della lotta armata quando si fecero avanti le nuove Brigate Rosse che il 20 maggio 1999 a Roma uccisero il giurista Massimo D’Antona.
Anche in quel caso fu il composito mondo residuato della eversione di sinistra formatasi più di vent’anni prima a Pisa ad assumere un ruolo centrale. Lo verremo a sapere più tardi, nel corso delle indagini dopo che il 19 marzo 2002, tre anni dopo l’uccisione di D’Antona, le “nuove Brigate Rosse” tornarono in azione tendendo un agguato a Bologna al giuslavorista Marco Biagi, falciato sotto casa da sei colpi di pistola. Nel commando che fece fuoco c’erano due donne: Nadia Desdemona Lioce, una ragazza pugliese da tempo abitante a Pisa dove era iscritta alla facoltà di Lettere e Cinzia Banelli, dipendente dell’ospedale di “Santa Chiara” che andò ad uccidere Biagi dopo aver trascorso la mattina al posto di lavoro nascondendo nella borsetta una pistola da poco acquistata da Pino Cobianchi, poi divenuto famoso come il serial killer delle prostitute. Le azioni terroristiche del gruppo pisano furono scoperte quando la Lioce venne arrestata in seguito a un conflitto a fuoco sul treno Roma-Firenze durante il quale fu ucciso il suo compagno Mario Galesi. Furono gli ultimi sinistri bagliori della lunga e tragica stagione del terrorismo in Italia e del coinvolgimento di Pisa nell’eversione nata negli “anni di piombo”.