TOMMASO STRAMBI
Cronaca

"Un chimico per sbaglio, Stradivari per scelta"

Faccia a faccia con il direttore della Normale

Il professor Barone (foto Valtriani)

Pisa, 9 novembre 2016 - Districarsi in un labirinto di dati per capire come migliorare la sicurezza delle nostre città o per ottimizzare le scelte in termini di trasporto, per non parlare dell’impiego che si può avere nel campo della sanità o in quello quotidiano degli acquisti al supermercato. Fino a poco tempo fa ci sarebbero voluti computer mainframe da oltre 2 milioni di dollari, oggi, con un semplice algoritmo, quelle stesse informazioni possono essere elaborate nel giro di poche ore, magari sfruttando anche un banale laptop. E’ la rivoluzione dei big data. Un mondo fatto di zettabyte, miliardi e miliardi di informazioni da ordinare per poterle gestire.

Ma come?

«Semplicemente invertendo e allargando sino al nostro livello quelle informazioni per camminarci dentro e ordinarle in funzione dei nostri obiettivi. Trasformare appunto, quei miliardi di dati in oggetti e muovercisi dentro come in un labirinto».

Il professor Vincenzo Barone è seduto nel suo studio di direttore della Scuola Normale e mentre parla gli si illuminano gli occhi. Proprio come a un bambino davanti ad una vetrina di caramelle. Nonostante abbia alle spalle decenni di insegnamento, decine di pubblicazioni, Barone continua a rimanere curioso come quando era giovane e subito dopo la maturità classica voleva iscriversi alla Normale per studiare fisica. Un sogno diventato realtà solo a metà.

Cosa è successo nel frattempo?

«Dopo aver superato gli scritti per l’ammissione, venni respinto agli orali. Così me ne tornai nella mia città a Napoli, dove mi ero iscritto a Chimica alla Federico II».

Insomma un fisico mancato?

«A dire la verità anche un chimico anomalo».

In che senso?

«Volevo fare il biochimico e a quel punto c’è stato il secondo evento che ha cambiato l’indirizzo alla mia vita, dopo la mancata ammissione alla Normale».

Ci racconti…

«Mi trovavo in laboratorio a fare ricerca quando mi cadde una boccetta di misto cromico, una delle sostanze più corrosive che esistono, e ci rimisi la scarpa che rimase incastonata per decenni nel pavimento del laboratorio. La ‘mattonella Barone’, venne ribattezzata».

Addio quindi alla ricerca applicata?

«Esatto. In quel periodo nell’ambito chimico l’uso dei computer era abbastanza agli inizi, avevamo le prime schede perforate. Nel frattempo era nata l’Università della Calabria e mi ritrovai in quel contesto con un gruppo di ricercatori e docenti giovanissimi. Fu installato uno dei primi grandi computer. Io ed altri colleghi lo tenevamo accesso la notte per svolgere i nostri conti. In questo modo un’estate abbiamo pubblicato 3 o 4 lavori. Fu davvero una stagione entusiasmante».

E poi che ha fatto?

«Sono tornato a Napoli alla Federico II dove sono rimasto per 35 anni rifiutando anche proposte da Università degli Stati Uniti. Anche perché con l’avvento di Bassolino sindaco pensavamo anche di poter contribuire allo sviluppo della città. Ma è stata un’illusione».

Perché?

«Poco alla volta si è visto che con l’occupazione sistematica di tutte le posizioni è scesa la qualità di chi è stato chiamato a ricoprire certi ruoli».

Anche nell’Università?

«Avevamo il centro di calcolo più importante in grado di fare scienza e pure avvertivo che si poteva fare qualcos’altro».

E quindi si è rimesso in discussione?

«Sì, volevo trasferirmi in una città più piccola, dove vivere bene e continuare i miei studi. Non necessariamente Pisa. Anche perché rispetto a quando avevo trent’anni non era più il centro europeo della chimica. Lo è rimasto dell’informatica e di qualche branca della medicina. Ma Pisa ha fatto di tutto per autodistruggersi».

Eppure è arrivato a Pisa….

«E’ vero. C’era un posto al Cnr e l’ho vinto».

E alla Normale come è approdato?

«Dopo poco mi dissero che era uscito un bando e ho fatto domanda pur non essendo la persona che doveva arrivare o il candidato ideale avendo già 57 anni».

E invece?

«Mi hanno chiamato. Perché, come per il concorso di ammissione al corso di allievo ordinario o di perfezionamento, qui conta il merito e nient’altro. Ed è assolutamente imparziale. E alla soglia dei sessant’anni sono riuscito ad entrare alla Normale per dimostrare che non è l’eta a fare la differenza».

Una bella battaglia vinta?

«Dal punto di vista economico ci ho rimesso, ma ho trovato un ambiente stimolante, degli studenti motivati, dei mezzi straordinari e l’opportunità di partecipare a dei bandi di ricerca europea da milioni di euro e farlo, presentandosi con il nome della Normale, pesa moltissimo».

Prima ha detto che Pisa ha fatto di tutto per autodistruggersi. Ha peccato di presunzione?

«Se una città è anche capoluogo di regione è più facile per lei diventare punto di riferimento. L’Università di Firenze a un certo punto ha cominciato a crescere e Pisa non è riuscita a mantenere le sue eccellenze se non l’informatica e, ripeto, qualche branca della medicina».

Cos’è oggi un luogo d’eccellenza?

«Fornire gli strumenti a studenti capaci di interagire tra loro, pur avendo formazioni diverse, e stimolarli a comprendere quello che potrà accadere tra 15-20 anni. Predire il futuro e favorirlo».

Ed è quello che la Scuola Normale fa?

«Dobbiamo essere propositivi. Credo che possiamo creare un polo unico delle eccellenze tra le tre università generaliste toscane e la Scuola. Questa è una realtà metropolitana di fatto che vorrei proporre a tutto il mondo. Normale e Sant’Anna sono la stessa cosa e, se impariamo a dialogare con Firenze e Siena, potremo fare molto. A cominciare dal recupero delle periferie rispetto al centro».

E’ questo il suo programma da direttore?

«Non sono un genio da Nobel. Mi piace essere un bravo artigiano. Costruire uno strumento come Stradivari che poi altri utilizzeranno al meglio».

E quali elementi le servono per costruire il suo violino?

«Dobbiamo lavorare sul merito, la contaminazione, l’inclusione e l’etica. Queste sono le sfide che abbiamo davanti».

Ha un sogno che vuole realizzare?

«Fare qualcosa di concreto per il Sud. Sono di famiglia napoletana. Vorrei creare una Scuola Normale del Sud. Una nostra filiazione che aiutiamo a crescere ma che, una volta maturata, può andare da sola».