L’8 e il 9 giugno si vota per i 4 referendum promossi dalla Cgil e per il referendum sulla cittadinanza ai cittadini immigrati. L’Usb dà indicazione a tutti i suoi iscritti e delegati "di votare 5 Sì e di sostenere la campagna che ha come principale obiettivo il raggiungimento del quorum". Per avvicinarsi al referendum la Cgil ha organizzato alcuni incontri. Si parte con ’Io campo progressista per il referendum’ in programma venerdì 23 maggio al quale parteciperanno, oltre al segretario provinciale Nicola Del Vecchio, Arturo Scotto del comitato commissione lavoro Pd, il deputato pentastellato Riccardo Ricciardi, Nicola Del Nero di ’Compagno è il mondo’, Clelia Li Vigni di responsabile regionale lavoro di Sinistra italiana.
A scendere in campo per il referendum anche Martina Benedetti (nella foto), infermiera simbolo della battaglia al Covid: "Perché un professionista sanitario dovrebbe votare sì al referendum dell’8 e 9 giugno? Perché chi si prende cura della salute degli altri ogni giorno, nei reparti, nei pronto soccorso, nei servizi territoriali, sa bene che la salute non si difende solo con farmaci e procedure. La salute si costruisce anche fuori dagli ospedali: nei luoghi di lavoro, nei contratti, nei diritti riconosciuti e garantiti. E si indebolisce quando la giustizia sociale viene ignorata".
"I quesiti sul lavoro – prosegue – toccano migliaia di persone che lavorano nel mio settore, quello della sanità, ma in condizioni molto diverse. Parliamo di colleghi e colleghe che operano attraverso cooperative, appalti e subappalti, con contratti precari, meno tutele, salari più bassi e maggiore esposizione al rischio. Votare sì vuol dire chiedere che quelle condizioni siano riviste, che il lavoro torni ad avere dignità, che non ci siano più lavoratori di “serie B” nel sistema che ogni giorno tiene in piedi la salute del Paese. Ma c’è anche un altro sì che dobbiamo pronunciare, ed è quello alla riduzione degli anni necessari per ottenere la cittadinanza italiana. Oggi un lavoratore straniero, anche se regolarmente assunto, anche se paga le tasse, anche se lavora nel nostro sistema sanitario e contribuisce come noi alla salute collettiva, deve aspettare dieci anni prima di essere riconosciuto come cittadino a pieno titolo. È una distanza ingiusta, che umilia l’appartenenza reale di queste persone alla nostra società. Ridurre questo tempo a cinque anni non è solo un gesto di equità, è una scelta di intelligenza: in un Paese che invecchia e fa sempre meno figli, includere chi già contribuisce è una risposta necessaria, concreta, sostenibile".
"Per noi professionisti della salute – conclude –, questo referendum è anche un’occasione di coerenza. Prevenzione non è solo fare campagne vaccinali o promuovere stili di vita sani. Prevenzione è anche garantire sicurezza nei luoghi di lavoro, è ridurre le disuguaglianze, è lottare contro la precarietà. È occuparsi della salute nella sua dimensione più ampia: quella che attraversa il corpo sociale prima ancora di manifestarsi nel corpo individuale. Quindi chi può occupare degli spazi con la propria voce è indispensabile che la utilizzi, in maniera intersezionale, anche per gli altri. Di fronte al referendum dell’8 e 9 giugno, che può cambiare la vita di migliaia di lavoratori – italiani e stranieri spesso invisibili – non votare è una colpa".