
Quel corpo disteso nel suo letto in una posizione che poteva richiamare il sonno era con ogni probabilità una messinscena. Qualcuno voleva far passare per una tragica fatalità o un malore improvviso legato alla droga l’omicidio della povera Ursula Turri, la 49enne di Barga trovata morta in casa il 21 novembre 2019.
Invece la donna, madre di due figli, era stata deliberatamente soffocata con un cuscino da qualcuno che conosceva bene e con il quale aveva avuto poco prima anche una colluttazione. Qualcuno che poi ha avuto tutto il tempo di risistemare la scena del delitto e di allontanarsi dall’appartamento di via della Fontana. Questa è l’unica certezza in una triste vicenda che ancora una volta vede una donna come vittima.
Ne è convinto il pm Antonio Mariotti che ha inviato l’avviso di chiusura delle indagini preliminari ipotizzando il reato di omicidio volontario a carico di Fabio Picciolo, 57enne di Barga, amico ed ex compagno della vittima, per trent’anni impiegato del Comune. Picciolo era stato arrestato per droga alcuni giorni dopo il delitto, in seguito a una perquisizione dei carabinieri, e poi licenziato dall’amministrazione comunale dopo che aveva patteggiato una pena di 3 anni di reclusione per spaccio.
Adesso l’uomo, difeso dall’avvocato Riccardo Carloni, deve fronteggiare dunque un’accusa ben più pesante, anche se nei suoi confronti non sono scattate misure cautelari e il processo si preannuncia indiziario: circa tremila le pagine dell’inchiesta consegnate alle parti.
A mettere gli inquirenti sulla pista dell’omicidio è stata l’autopsia eseguita dal medico legale Stefano Pierotti con i relativi esiti degli esami tossicologici arrivati nei mesi successivi. Nessuna overdose, ma lividi e tracce evidenti di una colluttazione e segni chiari di soffocamento, probabilmente con un cuscino. I familiari di Ursula, del resto, non avevano mai creduto all’ipotesi iniziale di un decesso per infarto o per assunzione di droga e si sono affidati all’avvocato Paolo Mei per costituirsi parte civile al processo.
Tra gli elementi chiave, il Dna rinvenuto sul corpo della vittima, i tabulati telefonici e alcuni rumori (e musica ad alto volume) provenienti dall’appartamento di Ursula quando in realtà lei era stata già uccisa. "Qualcuno – commentano alcuni amici – voleva far credere che fosse ancora viva e che la morte l’avesse poi portata via nel sonno. Invece era un atroce femminicidio e ora dovranno renderle giustizia pubblicamente".
Paolo Pacini