REDAZIONE LA SPEZIA

Tre anni e sei mesi per l’omicidio stradale

Dipendente dell’Arsenale cinquantenne travolto lungo viale Italia da un centauro. La vittima si spense dopo diciotto mesi di coma

Tre anni, sei mesi e 20 giorni di reclusione per omicidio stradale. E’ la pena inflitta ieri, ad epilogo del rito abbreviato, dal gup Mario De Bellis per la morte, dopo 18 mesi di coma, di Michele Zugliani. La vittima è l’arsenalotto di 50 anni che, il 16 agosto del 2017, in viale Italia, in sella ad uno scooter, fu travolto dal Piero Berti, 61 anni che, perso il controllo del suo Yamaha di media cilindrata, aveva invaso la corsia opposta provocando la scontro frontale. Il giudice ha disposto anche il pagamento di provvisionali di 168mila euro, a titolo di risarcimento-danni, alla mogli e alla figlia della vittima costituitisi parti civili attraverso l’avvocato Maurizio Mastroianni. Per il destinatario della sanzione penale, anche il ritiro della patente.

Una scena raccapricciante quella che si delineò davanti ad alcuni testimoni quella sera di estate di 4 anni fa: il centauro, percorrendo viale Italia, deviò all’improvviso, invadendo la corsia dove, in quel momento, transitava il cinquantenne. Lo scontro fu frontale; innescò il volo dell’arsenalotto che, sbalzato dalla sella, precipitò sull’asfalto, a dieci metri di distanza dal punto della collisione. Michele era da pochi minuti uscito dall’ospedale, lì era andato ad assistere il papà ricoverato. Berti si era appena congedato da un circolo sociale, a Migliarina. Per gli effetti della sua imprudenza, aveva rischiato di essere preso a calci e a schiaffi da uno degli amici che, invano, poco prima, aveva cercato di trattenerlo all’interno circolo affinché smaltisse l’eccesso di alcol. Lui aveva voluto tornare a casa in moto; dopo aver violato un divieto, aveva imboccato viale Italia, dove si era poi consumata la tragedia. Michele, fin da quel momento, devastato dai traumi, era entrato in coma. Fin dalla sera stessa dell’incidente fu ricoverato al San Martino. Due mesi dopo fu trasferito all’istituto don Gnocchi della Spezia, nella speranza della ripresa. Tutto vano, fino alla decisione del ricovero alle Missioni, per restare aggrappato, con un filo, alla vita. Questo si era spezzato il 18 gennaio del 2019, dopo 18 mesi di coma, di speranza che, nel progress del tempo, si era tramutata in rassegnazione per i familiari di Michele Zugliani. Un’agonia per il suo corpo e per lo spirito della moglie e della figlia che gli sono stati a fianco nel calvario, sostenendolo con gesti premurosi, parole di incoraggiamento sussurrate all’orecchio, con l’aspettativa di un sussulto. na grande prova di amore, quella che ha accompagnato l’arsenalotto fino alla fine dei suoi giorni. Il suo cuore, alla distanza, non ha retto.

Nessun dubbio sulle responsabilità dell’investitore. Il report della Polizia Municipale alla Procura era stato tranchant, sulla scorta dell’alcoltest e delle testimonianze raccolte. Per lui si era incardinato all’inizio un procedimento per lesioni gravissime. Con la morte di Michele, il reato era cresciuto di spessore: omicidio stradale, con l’aggravante connessa alla guida in stato di ebbrezza (1,92 grammilitro). A formalizzare la contestazione era stato il pm Maria Pia Simonetti. L’avvocato difensore Daniele Caprata ha cercato di minimizzare i danni chiedendo e ottenendo il rito abbreviato.

Corrado Ricci