
Non è servita la ritrattazione in aula della moglie per scagionare un uomo di 46 anni dall’accusa di violenza sessuale e maltrattamenti in famiglia. L’imputato è stato condannato a sei anni di reclusione, sei mesi in più rispetto alle stesse richieste del pubblico ministero Monica Burani che ha indagato sulla vicenda arrivando alla conclusione, nella requisitoria, che la ritrattazione della donna, una 24enne, era conseguenza del pressing dell’imputato e che la verità era quella indicata nella denuncia, suffragata, fra l’altro, dalle testimonianze della donna che aveva dato conforto alla vittima, l’aveva protetta dopo la fuga dall’uomo e indotta a chiedere aiuto alla Stato Italiano a fronte di quanto subito in Francia.
Sì, il teatro degli eventi è stato il comune di Vernouillet nel Dipartimento delle Yvelines nella Regione di Parigi, situato ad una trentina di chilometri alla capitale. Ma è scattata la competenza territoriale della procura della Spezia in virtù della perseguibilità del reato specifico in quanto commesso da un uomo di origine marocchina che aveva ottenuto la cittadinanza italiana nella nostra città; qui aveva vissuto in un primo momento, alla vigilia del trasferimento con la moglie in Francia. I fatti contestati abbracciano un ampio spettro temporale dall’ottobre del 2018 al maggio del 2019, mese in cui la donna decise di liberarsi dell’uomo fuggendo di casa, per poi trovare ospitalità da una amica, a Milano. E’ nel capoluogo lombardo che è poi maturata la decisione della donna di denunciare il marito, con l’effetto indotto di mettere in pista per le indagini i carabinieri che, oltre a prendere a verbale lei, hanno raccolto la testimonianza del padre e dell’amica. Un quadro probatorio che si è rivelato alla distanza solido nonostante la ritrattazione in aula della donna e le dichiarazioni rese ieri dall’uomo, là dove ha raccontato che si sono rimessi insieme e che hanno avuto un figlio. "Io la amo. Abbiamo avuto dei contrasti. Ma sono falsità i fatti che mi ha addebitato all’epoca della denuncia. Ora ci siamo riappacificati" ha detto ieri in aula l’imputato. Ma, evidentemente, non si è rivelato credibile. A fare da ancoraggio alla sentenza di condanna, dunque, le iniziali rappresentazioni della moglie: "Mi obbligava a fare sesso nonostante il mio dissenso; pretendeva ogni settimana un rapporto anale".
La denuncia si era allargata anche alla rivelazione di altre umiliazioni, vessazioni (compresi sputi in faccia) e alla minaccia di riportare la donna in Marocco. Tutto vero secondo il pm e i giudici – Marta Perazzo (presidente), Marinella Acerbi e Giulia Marozzi – risultati più severi del primo.
Corrado Ricci