
Il comitato del sì organizza un pomeriggio di tanta musica e parole. Gli interventi di Sonia Bertella, Roberto Alinghieri e Fulvio Fammoni .
di Sonia Bertella*
LA SPEZIA
"Ho aderito volentieri al Comitato provinciale per i referendum. Per me, e anche per Pino Ricciardi, con cui condivido ormai da tempo la carica di “ex” segretario generale della Cisl, è stato facile, direi logico e conseguente alla nostra comune e lunga esperienza sindacale accettare l’invito di Giorgio Pagano e Luca Comiti. Oggi Pino non può essere presente ma mi ha incaricato di portare i suoi e le congratulazioni, per l’incredibile e bellissimo lavoro di informazione svolto dal Comitato. Soprattutto, ci accomuna la piena condivisione delle tante ragioni per cui l’8 e il 9 giugno dovremo votare, e votare cinque SI’. Tutti i referendum interrogano direttamente i cittadini ed offrono un meraviglioso strumento di democrazia diretta. Questo strumento non può che essere eccezionale, quindi non va sprecato girando le spalle ai seggi anche se è pur legittima la scelta di non votare facendo cadere il quorum per la validità del referendum. C’è chi pensa, in buona fede, che il quesito referendario sia mal posto e sceglie consapevolmente di non votare. Va rispettato. Chi suggerisce di non votare, mette in atto una astuta furbizia. Pensa “no“ ma siccome sa anche di essere in minoranza, si appropria delle scelte di quell’astensionismo ormai sempre più dilagante. Crea una maggioranza confusa e disomogenea, ma certamente utile per affondare un prezioso strumento di democrazia vanificando le ragioni del ’sì’. E’ un comportamento scorretto, ancora più grave se questo suggerimento viene da cariche istituzionali dello Stato perché di fronte a queste cinque domande non si può tacere. Non è civile, non è educativo proporre furbate frutto di una cattiva politica fatta di disimpegno. Questi referendum non sono di parte perchè promossi dalla sinistra, non sono neppure un regolamento di conti dentro la sinistra. Sono di tutti e dalla parte dei lavoratori. Questi referendum ci domandano che tipo di società e di sviluppo economico, culturale e umano vogliamo. Pur non essendo quesiti costituzionali affondano le loro radici nella nostra Costituzione. Aggirarli cercando di affondare il quorum non è civile e democratico. E’ un atteggiamento di rinuncia a svolgere quel ruolo di cittadinanza attiva che i Costituenti vollero per noi. Come non rispondere sì alla domanda se chi è stato ingiustamente licenziato, dopo una sentenza giudiziaria che gli dà ragione, debba tornare al suo posto di lavoro? E’ così difficile dire sì e concordare sul fatto che un eventuale risarcimento, per essere tale, dovrà essere quantificato dal giudice sulla base effettiva del danno e non essere stabilito a priori con un tetto massimo? Qual è la forma privilegiata del rapporto di lavoro? Quella a tempo indeterminato o quella a tempo determinato che viene scelta non per reali necessità organizzative, ma per inconfessabili e opportunistiche scelte aziendali? Lo sappiamo che ogni giorno ci sono in media tre morti sul lavoro che potevano essere evitate? Sarà mai sicuro un posto di lavoro dove di appalto in appalto le responsabilità si annacquano fino a scomparire? L’azienda che appalta deve sapere cosa succede nei propri recinti ed esserne responsabile. Forse, allora, spariranno gli appalti al maggior ribasso, i subappalti a ditte non qualificate che fanno il lavoro “sporco” che quelle qualificate non possono o non vogliono fare.
I referendum sembrano quesiti circostanziati alle sole condizioni in cui si svolge il lavoro nelle nostre aziende, invece, come l’ultimo quesito, sono domande sul diritto di cittadinanza vissuto nella quotidianità e non solo sulla carta. Sono quesiti che riguardano tutti, anche, e soprattutto, le nuove generazioni. Dire sì vuol dire fare in modo che la Costituzione reale coincida con quella legale. Poi c’è l’ultima coraggiosa domanda di civiltà. E’ quasi in controtendenza in questi tempi di odio sociale alimentato dallo sfruttamento delle paure e delle insicurezze economiche e non solo. “Vuoi dimezzare i tempi affinché gli immigrati possano acquisire la piena cittadinanza italiana, ferme restando le altre condizioni vigenti?”. Come si può non rispondere sì a chi lavora nel nostro Paese, paga persino le nostre pensioni, paga le tasse, non ha reati penali, studia accanto ai nostri figli, ecc. e chiede di diventare italiano a tutti gli effetti giuridici dato che nei fatti reali lo è già e si comporta come tale? Come non rispondere sì a un bisogno di integrazione umana prima ancora che sociale, culturale ed economica?
* Ex segretario Cisl