
Il carpentiere scomparso nel 2013 aveva lavorato in Arsenale (foto d’archivio)
La Spezia, 17 giugno 2025 – C’è un legame stretto fra la malattia che l’ha strappato ai suoi cari e l’esposizione all’amianto subita lavorando come carpentiere navale e addetto ai bacini di carenaggio in Arsenale. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna del Ministero della Difesa al risarcimento di 670mila euro di danno parentale subito dai congiunti di un uomo deceduto nel 2013 a causa di un mesotelioma pleurico, contratto per l’esposizione all’amianto. Sia il Tribunale di Genova in primo grado che la Corte d’Appello di Genova in secondo, avevano già riconosciuto la responsabilità del Ministero, quale datore di lavoro dell’uomo, per mancata adozione di tutte le cautele necessarie alla tutela della sua salute, condannando l’amministrazione al risarcimento del danno subito dalla moglie e i due figli, quantificato in oltre 670mila euro oltre interessi.

A seguito del ricorso in Cassazione fatto dal Ministero, la Suprema Corte ha respinto tutti i motivi di impugnazione della difesa erariale, confermando la sentenza di merito e condannando il Ministero anche al pagamento delle spese processuali. La Corte di Cassazione ha chiarito che è sussistente la responsabilità datoriale del Ministero della Difesa anche se il l’operaio aveva lavorato anche con altre aziende, considerando irrilevante l’eventuale concorso causale e che per il “principio del più probabile che non” doveva ritenersi sussistente il “nesso causale fra esposizione ad amianto subita dal lavoratore” durante il periodo trascorso in Arsenale e la contrazione della patologia mesotelioma pleurico (manifestatao circa 40 anni dopo), essendo compatibile il periodo di latenza con le caratteristiche della patologia. Rigettato anche il ricorso ministeriale con riferimento alla quantificazione del danno dei congiunti, precisando che le somme conteggiate dai giudici di merito trovavano fondamento non solo nello strettissimo rapporto parentale ma anche nella gravosità della malattia.
Il mesotelioma aveva infatti compromesso irrimediabilmente la salute dell’uomo e reso dolorosa anche l’assistenza da parte dei parenti: di rilievo anche il dato anagrafico della moglie, ancora in giovane età all’atto del decesso del marito. Infine l’ordinanza ha respinto le censure del Ministero per defalcare dalla rendita Inail percepita dalla moglie per il decesso del marito avvenuto per malattia professionale dal risarcimento accordato, chiarendo che l’indennizzo “ristora solo il danno biologico permanente del lavoratore e non gli altri pregiudizi facenti parte del danno non patrimoniale, fra i quali il cosidetto ’danno parentale’, ovvero quello subito dai congiunti del deceduto per la definitiva perdita del rapporto parentale. La Suprema Corte con la sua ordinanza (patrocinata dall’avvocato Pietro Frisani, legale di fiducia della Gestionecreditipubblici) ha confermato la condanna del Ministero della Difesa al pagamento di 670mila euro (oltre interessi) come risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, oltre alle spese legali.