
di Franco Antola
Succede con il pregiato cappottone di cammello ancora in ottimo stato ma, ahimè, inesorabilmente invecchiato nel taglio e nelle finiture, e per questo rimasto sepolto nell’armadio per decenni. Oppure con la pelliccia costosa ma datata che, opportunamente "ristrutturata" da mani esperte, può tornare, ma sì, a dire la sua dopo anni di onorato servizio. Eccolo il prêt-à-porter rivisitato ai tempi del Covid. E’ la nuova economia che prospera – si fa per dire – nell’emergenza e a qualcuno permette di continuare a stare sul mercato limitando i danni, in attesa della ripartenza. Non è certo una ricetta facile da applicare nel mondo dell’imprenditorialità artigiana, perché richiede la capacità (o la possibilità) di riconvertire la produzione rimettendo in gioco se stessi e la propria impresa. E comunque servono competenza, creatività, conoscenza del mercato. Qualcuno c’è riuscito. "Non è stato facile, certo - racconta Antonietta Guarino, 31 anni, stilista, creatrice di modelli esclusivi anche per clientela d’élite, compresi personaggi dello spettacolo, alle spalle premi prestigiosi e la partecipazione a importanti rassegne internazionali – ma devo dire che qualche risultato si comincia a vedere. Il lockdown e lo stop alle cerimonie che per noi erano un importantissimo filone di mercato, hanno imposto di ripensare l’attività e riorganizzare il laboratorio. Così mi sono guardata in giro e ho puntato intanto su un settore che la crisi ha in qualche modo rilanciato. Le nostre nonne erano solite rigirare i cappotti e restituire al capo nuova vita, beh anche la mia azienda ora fa qualcosa di simile. La gente spende molto meno ed è portata a sfruttare molto di più i capi di qualità che conserva nel guardaroba; un cappotto da ristrutturare, un pelliccia da rimettere a modello, un pantalone o una giacca da stringere o accorciare.
E’ a questa nuova domanda che cerchiamo di dare risposta, in attesa che il nostro tradizionale mercato torni alla normalità". Antonietta Guarino con il suo La Rouche Atelier-Sartoria di via Raffaele De Nobili, ha puntato molto anche sulla riconversione, giocando la carta della camiceria su misura e la ristrutturazione delle pellicce. Un’esperienza che viene da lontano quella di Antonietta, che dopo aver ereditato passione e manualità dalla nonna prima e dalla mamma poi, ha perfezionato tecnica e creatività all’istituto Chiodo, indirizzo moda, dove si è diplomata. Poi subito al lavoro in proprio nel negozietto - 16 metri quadrati - in piazza del Mercato. Il resto è venuto dopo, col trasferimento nell’attuale atelier di via Raffaele De Nobili, più spazioso e attrezzato, gestito con l’aiuto di mamma Giuseppina. Una professionalità e una creatività che le hanno permesso di farsi conoscere anche nei santuari della haute couture. "Per far fronte alla crisi – spiega Antonietta – abbiamo però dovuto trovare altri sbocchi come, appunto, quello della camiceria su misura, che sta andando molto bene.
Ma la nostra è una sartoria a 360 gradi che si rivolge a grandi e piccini, uomini e donne. I clienti ora sono orientati a spendere molto meno e in attesa del superamento della crisi magari preferiscono mettere mano e adeguare vecchi modelli, cosa che ora si riesce a fare molto meglio grazie anche alle attrezzature e alla tecnologia oggi disponibili". Danneggiati dalle vendite online? "Sicuramente in linea generale hanno contribuito a sottrarre lavoro agli artigiani, anche se nel mio caso, paradossalmente, hanno portato anche lavoro: i capi che arrivano a domicilio spesso hanno bisogno di aggiustamenti e personalizzazioni e i clienti più esigenti vengono in atelier. Certo, molte opportunità sono venute a mancare a causa della crisi: il nostro laboratorio lavorava molto anche con i negozi per la sistemazione dei capi nuovi per conto del cliente: la chiusura prolungata e la difficile ripartenza ha portato con sé conseguenze pesanti". "In questa fase – aggiunge Antonietta – certo la crescita è impensabile, ma mantenere almeno le posizioni è un obiettivo alla nostra portata".