ANGELA LOMBARDO
Cronaca

La Torre a ritmo di rock. Guido Hahari ospite della mostra fotografica al castello dei Vescovi

"Che grande emozione sentire risuonare le note di Tower of songs"

"Che grande emozione sentire risuonare le note di Tower of songs"

"Che grande emozione sentire risuonare le note di Tower of songs"

"Entrare in questa torre e sentire risuonare nella mente le note della ballata di Leonard Cohen "Tower of songs" è stato un tutt’uno. Il titolo della nostra non poteva che essere questo". A parlare è Guido Harari, a Castelnuovo Magra per l’inaugurazione della sua mostra fotografica "Tower of songs" appunto. Critico musicale e fotografo.

Da cosa nascono questi due percorsi?

"Dalla mia attrazione per le star, perché fin da piccolo le percepivo come porte per accedere a mondi lontani e sconosciuti. A 12 anni vidi il manifesto dei Rockes. Mi presentai a Shel Shapiro per chiedergli un’intervista. Due anni dopo, ero in quarta ginnasio al Liceo Manzoni, lessi sul quotidiano Il Giorno che c’era Omar Sharif a Milano, allora famosissimo interprete del dottor Zivago. Mio padre, che non aveva mai mostrato interesse per queste mie curiosità, disse di conoscerlo. Gli chiesi di chiamarlo. Si diedero appuntamento al circolo del bridge e mi diede mezz’ora di intervista. Fu pubblicata su Il Sandrino, il giornale della scuola".

La fotografia quando arrivò?

"In casa, osservando il piacere che provava mio padre quando fotografava la vita della famiglia. E poi ascoltando la musica. Fissavo per ore le copertine dei dischi, che erano molto fotografiche".

Perché tanto interesse per quel mondo?

"La musica apriva un sacco di mondi. Non c’era solo quella commerciale. C’erano anche molti artisti pionieri che, ognuno a suo modo, mixavano mondi, ti facevano balenare un nome, un libro, un film. Il rock in qualche modo era collegato ad un certo tipo di mondo che era fatto di cinema, arte, moda. E poi ognuno andava a documentarsi come poteva. In un certo senso la musica era per i giovani di allora quello che è internet per quelli di oggi".

È diverso fotografare la star e lo sconosciuto?

"Il famoso non si dà margini di scoperta. Non capisce la differenza che ci può essere tra il mio modo di volerlo leggere e quello di altri fotografi. Gli sconosciuti, invece, hanno la guardia abbassata, non hanno un modo predefinito di guardarsi e sono ben disposti ad accogliere il mio sguardo su di loro. E spesso sono molto più interessanti da ritrarre".

Alina Lombardo