Godani e la danza "Dal Lago dei Cigni in piazza Mentana ai sogni di Flashdance"

Il coreografo spezzino racconta gli esordi e il successo. E ora sarà protagonista di una residenza artistica al Teatro Civico. "Una grande soddisfazione. Sognando l’Arsenale o Cristo Re".

Godani e la danza  "Dal Lago dei Cigni  in piazza Mentana  ai sogni di Flashdance"

Godani e la danza "Dal Lago dei Cigni in piazza Mentana ai sogni di Flashdance"

di Marco Magi

Due chiacchiere molto piacevoli con lo spezzino Jacopo Godani, coreografo di fama internazionale che sarà protagonista di una residenza artistica al Teatro Civico – tra incontri, prove aperte, workshop e due spettacoli – dal 18 al 22 aprile, insieme alla Dresden Frankfurt Dance Company di cui è direttore artistico.

Quali sono i suoi primi ricordi nella danza?

"’Il lago dei cigni’, all’aperto davanti al Civico, negli anni Settanta. Ero un bambino – esordisce Godani – . A 15 anni, poi, guardai ‘Flashdance’ e uscito dal cinema con gli amici eravamo gasati, anche perché nel gruppo c’erano Aurelio e Italo, che andavano già a un corso amatoriale di ballo. Infine, in classe mia alle superiori, avevo come compagna di banco Simonetta, allieva di Loredana Rovagna. ‘Perché non vieni al nostro spettacolo di fine anno?’, mi chiese, andai e ne rimasi folgorato".

E in famiglia, cosa ne pensavano?

"Dopo tre mesi che frequentavo il Centro Studi Danza, la Rovagna mi disse che avevo un grande talento e che mi sarei potuto iscrivere alla Scuola internazionale di Danza Mudra di Bruxelles. Non mi sembrava vero. In famiglia, un po’ perché dovevo allontanarmi dalla città, un po’ perché non vedevano nella danza un lavoro sicuro, storsero il naso".

Il provino andò bene. Come si preparò?

"Tutti i giorni, in sala dalle 14 alle 22. Dovevo farlo in tre anni, poi abbassarono l’età di ammissione e ci dovetti riuscire in due".

Loredana Rovagna e la danza, quanto le deve?

"Non è soltanto un’ottima insegnante a livello pedagogico, ma riesce proprio a trasmettere il gene della danza. Se tu vuoi ballare, è la persona che ti ‘formatta’ la maniera di pensare nel modo giusto. Un vero indirizzamento morale e artistico".

Che rapporti ha mantenuto alla Spezia?

"Mi sono allontanato ben presto, nel 1986, però il legame è rimasto forte. Ho un appartamento in via Ferruccio, proprio dietro al Teatro Civico, così come lì vicino c’erano il negozio di abbigliamento di mio padre e quello di parrucchiera di mia madre. Spesso torno a casa".

Quale esperienza l’ha maggiormente forgiata?

"Sicuramente quella con Loredana Rovagna. Mi ha dato l’insegnamento e la conoscenza. In quei due anni da lei, tutte le domeniche mi mostrava le videocassette dei big, ad esempio i lavori di Carolyn Carlson. Quando arrivai in Belgio, alla corte di Maurice Béjart, diversi miei colleghi di accademie e scuole importanti della capitale, con dieci anni e più di studi, non possedevano le mie nozioni di base".

Da danzatore a coreografo, cosa le è mancato di più?

"Quando smetti di ballare è un trauma. Ho avuto un reset fisico ormonale incredibile. Mi allenavo e mi muovevo 9 ore al giorno, vedevo in hd. Ho comunque iniziato presto a coreografare, perché Forsythe permetteva ai ballerini di lavorare sul materiale; ho firmato molte sue produzioni".

Quali ragionamenti la portano poi a concepire uno spettacolo?

"L’intelligenza, ciò che mi intriga di più. Sponsorizzo, infatti, una generazione di giovani che siano soprattutto intelligenti. Non in modo elitario, ma per stimolare le menti anche a livello sociale e civile".

Nel processo creativo qual è l’ordine?

"Sistematico è il lavoro di ricerca coreografica in studio, prima di investigare il movimento nello spazio tridimensionale, la coordinazione, le texture diversificate per dare il carattere al nuovo stile. L’eloquenza che può dare un corpo sostenuto da un cervello, è fondamentale. Il corpo deve avere argomenti sofisticati da esporre".

Richiede ai danzatori un notevole virtuosismo?

"È una cosa molto complicata per i ballerini interpretare in maniera contemporanea il virtuosismo. Nella danza tradizionale è inteso come un lato quasi atletico della danza. Rispettando i principi della fisica, lavoriamo diversamente: il nostro centro è l’inguine. Studiamo le meccaniche di un sistema solare e le strutture complesse, perfino quelle architettoniche, ragionando sul centro di gravità".

La vita di un danzatore è fatta di grandi sacrifici. Perché approcciare questo mondo?

"Restituisce molto, è una vera figata. Esprimi te stesso a livello creativo, intellettuale, fisico. Senza contare che giri il mondo, sei a contatto con artisti incredibili e sei pure pagato in maniera decente. Tornassi indietro lo rifarei altre cento volte".

È cambiato tutto con i social. Anche i modelli di riferimento?

"Tantissimo, basta osservare su Youtube quali siano i gruppi di tendenza di danza contemporanea. Una piattaforma televisiva utilizzata in modo intelligente può essere utile. Andrebbe, però, messo in evidenza il lavoro del coreografo. Certo, se poi i giovani ambiscono solo ai talent e non sanno cosa siano i teatri e le compagnie...".

Il capitolo praticamente chiuso con la Dresden Frankfurt Dance Company. Qual è il futuro di Jacopo Godani?

"Vorrei continuare privatizzando il mio lavoro, magari appoggiandomi a un istituto di ricerca scientifica p+er ufficializzare i miei studi dell’universo psicomotorio. Sono affascinato dalla meccanica fisica dell’intelletto applicata al corpo. Mi piacerebbe poterla adottare in programmi sperimentali, anche a livello sportivo o militare. Potrebbe essere utile perfino per la rieducazione di persone afflitte da ictus o paralisi temporanea".

Per la sua Spezia cosa ha ancora in mente nei prossimi anni?

"La nostra è una città dalle grandi potenzialità, da sfruttare intanto con l’invasione artistica di tutti gli spazi alternativi: i capannoni in Arsenale o magari, meglio, la cattedrale di Cristo Re".