ERIKA PONTINI
Politica

Giani, la mossa vincente del cavallo

Dietro all’incontro al Nazareno

Giani, la mossa vincente del cavallo

Firenze, 15 luglio 2025 – Alla fine ha comunque vinto lui, anche se da bravo ex socialista non ha rotto ma si è allineato alla segreteria Pd a guida Elly Schlein e si è ‘affidato al partito’ in tutto. Tempi e modi, promettendo ‘mai più fughe in avanti’. Eugenio Giani è stato praticamente confermato candidato, guai però a dirlo. Sarà suo il nome che il partito porterà in coalizione ma si può al massimo sussurrare nelle segrete stanze del Nazareno, tanto per farlo tribolare un altro po’ e salvare faccia e alleanze. Il mantra è: partito unito, dopo una settimana che in segreteria dem definiscono di ‘ordinaria follia’. E quindi c’è ancora da attendere. Luglio? Forse addirittura fine agosto, come se non si parlasse del presidente uscente ma di un qualsiasi outsider incoronato a 40 giorni dal voto.

Certo nelle quattro ore di confronto a cinque (Schlein, il suo braccio destro Taruffi, il deputato Furfaro e il segretario Fossi) all’inizio l’atmosfera era tesa. Perché al Pd la mossa del cavallo per ‘uscire dalla palude’ del governatore non era proprio andata giù. Aveva spiazzato tutti (ma sembra frutto di illustri consigli di big nazionali), prospettando lo spauracchio di una conta interna alla direzione pericolosissima, non tanto e non solo tra riformisti e schleiniani ma all’interno della stessa sinistra di partito. E invece lui, con un inatteso coraggio, a metà settimana, regolamento alla mano, aveva spezzato gli indugi e si era autocandidato, con tanto di pec mentre il Pd traccheggiava dietro ai Cinquestelle, ai ricatti di Giuseppi, all’accordo sulla Campania e sul Fico sì, Fico no, e agli appetiti schleniani in terra toscana per avere un colonnello di Elly, al posto di un riformista prestato alla causa. Ma se i dem predicano che la parola è degli elettori e dei territori, stavolta l’impressione data è quella di aver provato ad anteporre i palazzi, e non si sa quale ragion di stato o di partito. Così dopo un anno di stand by (l’estate scorsa l’intervista del segretario in cui si metteva in dubbio la sua ricandidatura), dopo - e aggiungiamo nonostante - la virata a sinistra del governatore, dopo le leggi sui consorzi industriali a favor di ex Gkn, sull’overtourism e sul fine vita, dopo la promessa al numero uno di Avs Nicola Fratoianni sull’acqua pubblica, dopo, dopo, dopo... il candidato è - ma prudentemente diciamo sarebbe - ancora Eugenio Giani. Con lui si è schierata una pattuglia di sindaci (qualcosa come 130, schleiniani compresi), i grandi vecchi (da Vannino Chiti a Valdo Spini a Enrico Rossi) e pure la Cgil, Fiom compresa. “Gli avranno chiesto anche il tesserino venatorio”, ironizzava qualche sinistrorso. Perché anche loro alla fine hanno appoggiato il presidente uscente. Al Pd lo avevano detto: ‘Se volete farlo fuori ok ma a gennaio, non dopo che ci ha portato in dote una svolta’. E, soprattuto ‘Non saremmo noi iresponsabili del Gianicidio’. Quindi la strategia è stata quella di schierare Conte come cecchino. Incuranti che in Toscana i Cinquestelle sono sempre stati all’opposizione - e lo sono tuttora a Firenze -, che racimolano un 5 per cento stirato e che andando con il Pd rischiano di perdere ancora consenso. E, soprattutto che i sondaggi dicono una cosa: Il Pd vince. Vince con Giani e anche senza i Cinquestelle.