Vittorio Tolu socio fondatore del Conventino

La mostra "Made in Conventino" di Francesco Tolu al Conventino di via Giano della Bella è la conferma del valore artistico del complesso. Le opere espongono l'evoluzione del linguaggio di Tolu, passando dall'astrattismo al concettuale e alle ispirazioni metamorfiche. Tra le opere esposte, spicca la metaforizzazione della Deposizione con un sudario e le bellissime maquette lignee delle Piazze.

Gurrieri

La verità è che al Conventino Tolu c’è da sempre. Nel Conventino di via Giano della Bella, Tolu ha la sua officina creativa: è un artista “socio fondatore”, come lo fu Marcello Guasti. E questa sua mostra, per l’appunto intitolata “Made in Conventino”, è la positiva certificazione che chi si è fatto carico della valorizzazione del compendio artistico-artigianale in questi anni, ha ben operato. La mostra ha un piccolo delizioso catalogo (Polistampa) con un sensibile testo di Lucilla Saccà, docente di Arte Contemporanea nel nostro Ateneo. Nel catalogo e nelle opere in mostra è riassorbito il lungo appassionato itinerario di Tolu, attento fin dal suo esordio all’avanguardia: l’esposizione nella mitica galleria “Numero” di Fiamma Vigo e l’attenzione critica di Lara Vinca Masini ne sono ne sono garanzia culturale. Così, la linea evolutiva del suo linguaggio, che ha radici nell’astrattismo si sposta progressivamente verso il concettuale fino alle più recenti ispirazioni metamorfiche, in cui la geometria diventa protagonista modellandone i temi, quasi avvicinandola ad una modellistica nobilmente architettonica. Tanto indietro nel tempo, ricordo una bella mostra a Pienza, nobilitata dalla presenza di Mario Luzi, in cui Tolu propose una “Scala verso il cielo”, metaforizzazione riproposta oggi, qui al Conventino, con un’addizione di non poco conto: un sudario appoggiato alla scale che evoca chiaramente il tema della Deposizione. E così è per la semplice sua proposta del “Sudario”, consegnata a un ostentato bianco lenzuolo insanguinato. Poi c’è il tema delle Piazze, bellissime maquette lignee – “7 Piazze e altre storie” – nelle quali la Saccà riconosce una vibrazione tattile delle superfici e una composizione fattasi rigida, cristallizzata in un geometrismo rigoroso.

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