
Com’è cambiato lo skyline di Firenze nell’area dell’ex Teatro Comunale: com’era prima, il progetto iniziale, com’è oggi (con il“cubo nero“)
di Antonio Passanese
Dopo due anni di lavori, lo storico ex Teatro Comunale – poi trasferito al ’nuovo’ Maggio di viale Fratelli Rosselli – ha svelato la sua natura. Un cubo nero e bianco con rifiniture in alluminio, che ha fatto gridare allo scandalo cittadini, storici dell’arte, architetti. Il progetto nasce da lontano. Dopo anni di abbandono, l’immobile di corso Italia venne venduto nel 2013 da Palazzo Vecchio alla Cassa depositi e prestiti per 23 milioni di euro (e dopo tre aste andate a vuoto), con destinazione residenziale pura. Ma nel 2019 è la società Hines, colosso internazionale nel settore immobiliare, a rilevarlo. Grazie a una variante urbanistica approvata dal Consiglio comunale, è stato possibile modificarne la destinazione: non più solo abitazioni, ma anche albergo e residenze turistiche temporanee. Il tutto all’interno di un programma che prevede la riqualificazione dell’intero isolato, con parcheggi, aree verdi e servizi. Ma in mezzo a tutto questo, è comparsa anche la torre incriminata.
Un cubo che si staglia netto sullo skyline ottocentesco e novecentesco di corso Italia, a due passi dal lungarno Vespucci. Un elemento di rottura che, da inizio settimana, catalizza proteste, indignazione e ironie, soprattutto sui social, dove le foto del nuovo edificio – sorto accanto al complesso dell’ex teatro comunale – sono diventate virali. "Ecomostro", "pugno nell’occhio", "ferita aperta in piena area Unesco": sono solo alcune delle definizioni affibbiate al volume squadrato. Una presenza che appare in totale dissonanza con l’impianto architettonico della zona, segnando un contrasto così evidente da suscitare più di un interrogativo. "Tutto è avvenuto secondo legge. Nessuna irregolarità", si fa sapere dal Comune. Eppure, nonostante le carte in ordine, quel “cubo” ha generato uno scollamento tra procedure tecniche e percezione pubblica, mettendo in discussione l’opportunità e il senso estetico di chi ha autorizzato l’intervento.
A firmare gli atti è stato, tra gli altri, l’allora soprintendente Andrea Pessina. Interpellato dal nostro giornale, Pessina si dice però estraneo alle scelte di dettaglio: "Non ricordo, ho firmato migliaia di atti durante il mio mandato. Bisognerebbe chiedere al funzionario che seguì quella pratica". Una dichiarazione che non chiarisce le ragioni del via libera né solleva dai dubbi sulla valutazione d’impatto paesaggistico. Eppure esiste un vincolo preciso, quello del decreto del 1953 che tutela le rive dell’Arno e limita gli interventi che possano alterarne l’aspetto visivo. Ma secondo gli enti che hanno seguito tutte le pratiche, l’intervento non lo viola.
L’ex direttore degli Uffizi, Antonio Natali, definisce lo scatolone: "La cappa di un camino, un elemento strabordante. Una costruzione che toglie il respiro a tutto il resto". Anche l’architetta Fulvia Zeuli, ex funzionaria della Soprintendenza fiorentina, non usa mezzi termini: "Soluzione pessima". La sindaca, interpellata sulla questione, evita giudizi sull’estetica dell’edificio: "Non penso che bisogna ragionare tanto dei giudizi personali, ma dei percorsi che sono stati fatti. L’amministrazione – il suo commento – ha già risposto in maniera molto puntuale, è stata fatta una nota, dove è stato detto in modo molto chiaro quali sono tutti i passaggi che sono stati fatti. E l’assessora Biti ha già anche risposto rispetto a certe accuse. Non ho altro da aggiungere".
Per il futuro, ha concluso, "penso che per le aree da riqualificare in città bisogna" portare avanti "dei percorsi di partecipazione, come è stato fatto per l’area della ex caserma Lupi di Toscana e come continueremo a fare". Resta il fatto: un edificio oggi domina il paesaggio urbano con linee e colori che sembrano ignorare l’anima della città. E molti si chiedono: com’è stato possibile che nessuno, in corso d’opera, abbia avuto il coraggio di dire no?