Michele
Brancale
Amare una città non è solo celebrare ciò che è stata, ma cercare la sua vocazione, tradurla nel presente, capire quale messaggio può lanciare, capire che essa è innanzitutto i suoi abitanti: anche le pietre raccontano la loro vita. Nei giorni in cui si rinnova il profilo mediterraneo di Firenze, con lo sguardo rivolto con preoccupazione a quanto accade in Ucraina, viene da pensare anche alla consapevolezza raggiunta sulla città da Mario Luzi (1914-2005), del quale ricorre il 28 febbraio l’anniversario della scomparsa. Luzi è tornato spesso sul tema della città, particolarmente la sua, fino al ‘Sia detto’, scritta all’indomani dell’attentato mafioso del ‘93. La città ha la capacità di "perforare la tenebra dell’intelligenza" e il macigno di un cuore nero nei "bui carnefici". Non è automatico guadagnare per sempre alla pace una città, ci vuole una custodia operosa di chi ci vive. Grazie a Fabrizio Dall’Aglio, l’editrice ‘Valigie rosse’ pubblica venti poesie di Luzi con testo inglese a fronte, tradotte da altrettanti poeti irlandesi (tra i quali il nobel Seamus Heaney), a cura di Alessandro Gentili. Sono ricavate da raccolte e dunque tempi diversi ma tutti dedicati a ‘Persone nel viaggio’. Si sta nella vita come un viaggio e il segreto di questo percorso è che si vive per mediazione dei nostri simili (‘La corriera’) e che si possono usare bene le parole, senza perdere il filo della vita in "falsi paradisi". "Le parole sono importanti – dichiarò al regista e attore Ugo De Vita nel 2004 – anche ora che tutti paiono convinti della loro inutilità". Tutto può essere sottoposto a lettura e interpretazione, con un fine costruttivo. Per Luzi, osserva Giuliano Ladolfi nel primo studio organico sul grande poeta (‘Semi a lungo inoperosi’, 2020), niente, dalle pietre ai monumenti, al fiume che percorre la città come se fosse in qualche modo il sangue di un organismo, è scontato; tutto è inserito in un ordito superiore ma rilevabile. E’ un esercizio di sguardo e di viaggio che rende più umani.