
Burro e parmigiano Uscito dal carcere, prese il bus per piazza Stazione: voleva concedersi un giro al mercato
Vichi
"Non ci penso nemmeno" disse. Fiore fece un sospiro e non disse più nulla. Gli sarebbe toccato comprarlo, quel libro. Voleva finirlo, come aveva fatto con tutti gli altri. Gli dissero di fare una firma sopra un grande registro e gli consegnarono il foglio di scarcerazione. Poi due secondini lo accompagnarono al cancello, e uno dei due gli dette una pacca sulla spalla. "Cerca di non farti più vedere, sennò qua dentro ci crepi". "Addio" disse Fiore. I secondini si voltarono e tornarono dentro. Lui fuori e loro dentro, pensò Fiore. Il poliziotto della guardiola alzò appena gli occhi per osservarlo, poi li riabbassò sulle parole crociate. Fiore rimase qualche minuto sul viale deserto, con il cappotto piegato sul braccio, a osservare il carcere. La finestra della sua cella dava su un cortile interno, e non si poteva vedere. Chissà se il merlo avrebbe continuato a posarsi sul davanzale, in cerca di briciole. Guardò l’orologio che gli avevano appena restituito, dopo nove anni. Era fermo sulle quattro e venticinque. Lo caricò e ci appoggiò sopra l’orecchio, per sentire il rumore del tempo che passava. Poi s’incamminò verso una fermata del bus. Prese il primo che passava, in direzione di Firenze. Guardava fuori dai finestrini e gli sembrava tutto diverso. Nove anni erano stati lunghi. La cosa più strana era il movimento. Le macchine che correvano e la gente che camminava sui marciapiedi gli davano una sensazione di vertigine, come cadere in un pozzo senza mai arrivare in fondo. Però vedere le cose da vicino era anche bellissimo. Guardava tutto con avidità. Al posto degli occhi aveva due imbuti. Si sentiva molto solo, ma quella sensazione aveva anche qualcosa di piacevole. Scese in piazza Stazione, e tagliando da piazza dell’Unità s’incamminò verso San Lorenzo. Voleva vedere le bancarelle del mercato e guardare le donne. Faceva abbastanza caldo, ed era tutta una festa di scolli e gambe nude. Aveva in tasca più di cento euro. Sua sorella non aveva mai smesso di aiutarlo. Era una brava donna. Abitava a Bagno a Ripoli con il marito, un muratore che guadagnava bene. Si mise a girare fra le bancarelle guardando tutte le donne che gli passavano davanti. Non ne perdeva una. Le studiava, classificandole per categoria e immaginandole nude e pronte all’uso. Era una bella cosa, la fantasia. Ci si poteva quasi costruire una vita intorno. O sopravvivere per anni chiusi fra pareti di cemento. Mangiò un panino in un bar e bevve un caffè in un altro. Non riusciva a stare troppo tempo fermo nello stesso posto, aveva bisogno di muoversi. Il panino gli era sembrato così buono che per poco non si era messo a mugolare, e il caffè era un capolavoro. Uscì dal mercato e imboccò via Cavour. Arrivò fino a piazza della Libertà, e si sedette sopra una panchina a fumare una sigaretta spiegazzata che si era portato dal carcere. All’una prese un altro caffè al bar sotto le logge, comprò un pacchetto di MS e tornò verso il centro passando da via San Gallo. Si fermò alla Questura per le formalità. Ai poliziotti disse che il giorno dopo sarebbe andato a San Miniato, per salutare un lontano parente che poteva prestargli dei soldi, e la sera sarebbe andato a Poggibonsi, dove forse avrebbe avuto un lavoro. Aveva detto San Miniato e non Santa Maria a Monte, dove invece abitava l’amico di Gino. Aveva mentito per maggior sicurezza. Ma a nessuno fregava nulla di dove sarebbe andato. Gli misero un timbro sul foglio di scarcerazione, lo fecero firmare ricordandogli che avrebbe dovuto farlo tutti i giorni e lo mandarono via. Fiore uscì dalla Questura e s’incamminò verso il centro. Arrivò in fondo a via Ginori, e voltò a destra. Aveva fame. S’infilò nel Mercato Centrale e si sedette sopra lo sgabello di una trattoria. "Rosso o bianco?" disse il tipo al bancone. "Rosso". "Di primo è rimasto solo la ribollita e il risotto con gli zucchini". "Niente pasta?" "Niente pasta". "Va bene la ribollita" disse Fiore, deluso. Mangiò in fretta, senza troppo entusiasmo, immaginando un bel piatto di spaghetti burro e parmigiano, come li sapeva fare lui. Dopo pranzo continuò a camminare nelle vie del centro senza meta. Sotto le logge di piazza della Repubblica vide una grande libreria, molto luminosa. Non si ricordava di averla mai vista, anzi era quasi sicuro che prima ci fosse un cinema. Non gli venne voglia di entrarci. Troppa luce, e soprattutto troppa gente.
8-continua