Stefano
Cecchi
Una richiesta che, a chi scrive, pare galleggi fra il grottesco e lo spocchioso. Per dire: a me non sembra che quando il ministero presentò il progetto per i Grandi Uffizi, si sia sentito il parere dei parenti del Vasari o che ai discendenti di Michelangelo sia stato chiesto se gradissero o no la Galleria dell’Accademia come sede del suo David. Lo impediva l’idea, invero curiosa, che la difesa del bello debba avere come prerogativa la discendenza dinastica. Lo stesso, son convinto che l’obiezione non scalfirebbe i convincimenti di costoro. Perché oramai in certa intellighenzia al cachemire è passata l’idea che tutto ciò che si costruisce attraverso il pubblico sia roba bassa, dozzinale. Che ci sia come un concerto di inefficienza anti bellezza che caratterizza l’agire delle istituzioni pubbliche, da ostacolare dunque con ogni mezzo da parte di chi si è autoinvestito del ruolo di depositario del giusto. Un’idea che a Firenze ha prodotto ritardi e stalli non da poco, ne è esempio l’esposto di Italia Nostra sul centro sportivo di Bagno a Ripoli che, per fortuna, la giustizia amministrativa ieri ha liquidato come inammissibile.
Insomma: la vicenda Stadio può servire come volano per una ripartenza urbanistica di Firenze. E il Comune ha l’obbligo di dimostrare di essere all’altezza del proprio ruolo, inaugurando una nuova stagione del fare e volando oltre le ubbìe di lobby elitarie e autoreferenziali. Scriveva qualcuno che uno stupido che cammina va più lontano di dieci intellettuali seduti. A Firenze è tempo di provarlo, dimostrando casomai che la stupidità sta nello stallo e non certo nel cammino.