STEFANO BROGIONI
Cronaca

Signa, la pistola del Mostro uccide. Un enigma oscuro lungo 55 anni. Ora dna e fotografie per sperare

Il 21 agosto del 1968, la calibro 22 ammazzò due amanti a Signa: l’esordio del killer o un depistaggio? Le indagini non si fermano: caccia a nuove tracce genetiche e a una fotocamera appartenuta ai francesi

I rilievi dopo il delitto

I rilievi dopo il delitto

Firenze, 20 agosto 2023 – L’esordio del mostro di Firenze, la prima volta che la pistola del serial killer ha sparato prima di passare di mano, o un sofisticato depistaggio? A cinquantacinque anni di distanza, il delitto di Signa resta un enigma a cui è attorcigliata la più misteriosa delle storie noir.

Eppure, per l’omicidio di Barbara Locci e il suo amante, Antonio Lo Bianco, avvenuto nella campagna di Castelletti, a Signa, nella notte del 21 agosto 1968, ci sono un condannato e un testimone. Ma questo non basta a diradare la nebbia. Perché Stefano Mele, il manovale arrestato dopo una controversa confessione difficilmente da solo avrebbe potuto compiere quel delitto. E la pistola, poi, chi gliela avrebbe procurata? Però, chi sparò in quella notte di 55 anni fa, sembrava sapere che a bordo della Giulietta del Lo Bianco, non c’erano solo i due amanti intenti ad amoreggiare sul sedile anteriore.

Ma pure il figlio di lei, Natalino, sei anni: l’assassino si avvicinò alla coppia da dietro, stando attento a tenere il bambino fuori dalla linea di tiro. Sarà poi il piccolo a dare l’allarme, dopo aver raggiunto una casa distante un paio di chilometri.

Poteva arrivare da solo, al buio e tra i ciottoli, al campanello dell’unico lumicino acceso? Punti interrogativi, tanti. Il buio, comunque, rimase nella testa di Natalino, che in quella notte perse la mamma ma di fatto anche il babbo, che finì in galera accollandosi in silenzio ogni colpa.

Nell’agosto del 1968 sparò una calibro 22. Quattordici anni dopo, era il 1982, dopo altre quattro coppie ammazzate, ecco che una misteriosa pista investigativa, annacquata tra il ricordo di un maresciallo e un fantomatico anonimo, fece collegare i duplici omicidio del 1974 (Rabatta), 1981 (Mosciano e Calenzano) e quello appena avvenuto a Baccaiano, alla pistola di Signa, probabilmente una Beretta. Nacque così la pista sarda, sette anni di indagini a vuoto tra gli amanti della Locci. Era la pista giusta o qualcuno voleva mettere fuori strada gli inquirenti? Chissà. Quando per il mostro si arrivò davvero a un processo, quello a Pacciani, si dirà che la pistola degli otto duplici omicidi era sempre la stessa, ma era passata di mano. Dai sardi ai compagni di merende.

Oggi ci sono le sentenze che condannano i complici del Vampa, Giancarlo Lotti e Mario Vanni, ma c’è anche la necessità di scavare ancora. Ci sono delitti senza colpevole (Lotti e Vanni avrebbero accompagnato Pacciani a partire dal 1982) e ricostruzioni fallaci. Le figlie di Nadine Mauriot, ultima vittima della calibro 22 (Scopeti, settembre 1985) vogliono vedere le diciassette fotografie che la madre e il fidanzato Jean Michel Kraveichvili avevano scattato nella loro vacanza terminata in una tenda intrisa di sangue. L’avvocato Vieri Adriani, il più ostinato a tenere aperta questa storia, ha ottenuto un sì dal gip, che ha ordinato il recupero di una Nikon e del suo rullino: mal che vada, saranno ricordi per la famiglia. La procura ha ora costituito un pool al femminile, proprio come quando negli anni ottanta indagava Silvia Della Monica. Alle pm Ornella Galeotti e Beatrice Giunti un compito tutt’altro che facile: far ordine tra i reperti e cercarci nuovi dna.