
Declassamento quasi certo per il teatro, sdegno e forti polemiche in città. Interrogazione dem in parlamento. Giani: "Impostazione da Minculpop". Fratelli d’Italia: "Disastro annunciato, adesso la sindaca spieghi".
Uno "schiaffo" a Firenze "quasi da Minculpop", un "attacco senza precedenti", una "ritorsione politica". Oppure la "conseguenza delle scelte della giunta Funaro". Intanto oggi, pur "schifato", il direttore artistico della Pergola Stefano Massini presenterà il cartellone per la stagione 2025-2026. Il possibile, forse probabile declassamento della Pergola voluto dalla commissione consultiva per il teatro del ministero della cultura, con i tre membri in rappresentanza degli enti locali che si sono dimessi in aperta contestazione con la maggioranza espressione ministeriale, ha scatenato una bufera politica. Comunicazioni ufficiali non ci sono ma, secondo quanto riferito dall’Adnkronos, la commissione si sarebbe limitata a non esprimere alcuna valutazione basandosi sul fatto che il progetto triennale presentato dalla Fondazione che gestisce il teatro non presenta elementi sufficienti a mantenere lo status di teatro nazionale. E questo apre la strada al declassamento a Teatro delle Città con conseguente rischio di tagli dei finanziamenti. Il centrosinistra parla di attacco politico a Firenze del ministro Giuli e del governo, mentre FdI mette nel mirino la giunta.
Se la sindaca, in particolare, parla di "decisione senza precendenti" annunciando ricorso al Tar, il governatore Eugenio Giani evoca il Minculpop: "Esprimo una fortissima preoccupazione. I tre commissari che si sono dimessi hanno denunciato una logica di strumentalizzazione partitica nei confronti di Firenze e della Toscana. Quanto emerge appare gravissimo e riteniamo fondamentale dissipare ogni dubbio circa l’impostazione ideologica, quasi da ’MinCulPop’, che sembra emergere". Per il senatore Iv Matteo Renzi "declassare la Pergola per ragioni ideologiche è uno schiaffo a Firenze e alla cultura. Il ministro dell‘ignoranza Giuli si dovrebbe vergognare". Parla di "una vera e propria rappresaglia politica" anche il presidente del consiglio regionale Antonio Mazzeo.
Per il direttore artistico Stefano Massini si tratta di "una pagina gravissima, senza precedenti nella storia del teatro italiano. Una pagina che mi vede schifato fino agli urti di vomito", come ha scritto ieri sui social denunciando anche "la farsa di questa sparatoria da saloon". Il deputato Federico Gianassi ha annunciato un’interrogazione: "È in atto una ritorsione politica. Non accetteremo questo affronto".
"La verità è che la Pergola è vittima delle scelte irresponsabili della sindaca Funaro. Abbia il coraggio di ammetterlo – contrattacca il senatore FdI Paolo Marcheschi –. È questo il vero motivo per cui ha perso il riconoscimento. Le scelte avventate di Funaro sul teatro, sulla programmazione, e le incongruenze di bilancio, rendono obbligato il declassamento, nel rispetto dei soldi dei contribuenti. Ci aspettiamo che il sindaco chiarisca al più presto se intende continuare a subordinare la cultura alla logica della fedeltà politica". Anche Alessandro Amorese, capogruppo FdI in commissione cultura della Camera, punta il dito contro la sindaca: "Le vere responsabilità stanno nella sua condotta. Un teatro può essere declassato solo se non rispetta dei criteri tecnici. Se è questo il motivo, come è possibile che un progetto sia stato presentato senza tenere conto dei requisiti di legge necessari?". Insistono sul punto i consiglieri FdI in Comune Angela Sirello e Matteo Chelli: "Siamo sbalorditi dal finto stupore della sindaca. È lei la principale responsabile di questo disastro annunciato. Per mesi ha gestito il teatro come fosse un giocattolo personale, ignorando ogni allarme, trattando un patrimonio culturale nazionale con arroganza e pressapochismo. La questione non è politica, come adesso vuol far credere il Pd fiorentino, ma si tratta di rispetto delle regole, di rigore e di trasparenza nella gestione della spesa pubblica. Le forzature che ha fatto Funaro sono troppe, dalla nomina di un direttore artistico plenipotenziario non previsto dallo Statuto, alla convocazione di un cda scaduto per risolvere il contratto a titolo oneroso del dg. L’esperienza tragica del Maggio rappresenta un metodo del Pd fiorentino da scongiurare".
Pd che, compatto, attacca invece il governo. "La cultura deve essere libera e l’idea che ormai la destra l’ha resa solamente una corsa alle poltrone da spartire la contrasteremo con ogni forza" è il duro parere della segretaria del Pd Elly Schlein che parla di "sfregio" al patrimonio culturale italiano. Per il segretario regionale Pd Emiliano Fossi "il governopoliticizza e ideologizza tutto", senza "senso della decenza per piegare tutto a diktat autoritari e ignoranti". Da Bruxelles rincara la dose l’ex sindaco Dario Nardella: "È la decisione più stupida e scandalosa che il ministro Giuli potesse fare e le dimissioni dei tre membri della commissione sono la dimostrazione che si è passato il segno in una gestione della cultura dal sapore neofascista". Anche Cristina Giachi e Andrea Vannucci (Pd) parlano di "una ritorsione politica che mina l’autonomia del teatro e dei soci della Fondazione", mentre i consiglieri Pd Luca Milani e Marco Burgassi parlano di "atto gravissimo a danno di Firenze. Mai successo che una fondazione teatrale nazionale venisse declassata per motivi che nulla hanno a che vedere con la qualità artistica o la gestione culturale". Per Francesco Casini e Francesco Grazzini (Iv) è "un colpo all’identità di Firenze". Parla di "Ministro contro la cultura", invece, Elisabetta Piccolotti (Avs), aggiungendo che "il Teatro della Toscana per il governo va declassato e punito con il taglio dei finanziamenti perché a dirigerlo è Stefano Massini". Per i suoi colleghi del Pd Irene Manzi, Matteo Orfini, Mauro Berruto e Giovanna Iacono si tratta "di un atto che ha il sapore evidente della rappresaglia politica, un attacco politico del governo a Firenze". La vicepresidente dei deputati Pd Simona Bonafè considera infine il possibile declassamento "un’offesa a tutta la comunità culturale, con ricadute negative su lavoratori, pubblico e comunità culturale".
Leonardo Biagiotti